Oggi vi proponiamo l’intervista che la nostra redattrice ha fatto al Maestro Gianluca Sibaldi, con il quale ha fatto una chiacchierata ad ampio raggio. Si è parlato anche delle colonne sonore dei film per lo storico amico Leonardo Pieraccioni… Buona Lettura!

Buongiorno e grazie della Sua disponibilità, della quale Le sono grata! Vorrei iniziare col domandarLe subito quando, come e soprattutto da quale motore interiore ha avuto origine la Sua dedizione alla Musica [http://www.gianlucasibaldi.com/]. “Buongiorno Giulia. La musica è sempre stata, fin da bambino, un linguaggio che mi comunica emozioni profonde. Qualcosa di difficile, se non impossibile, da esprimere verbalmente. Ricordo che ero sempre in mezzo alla collezione di dischi dei miei genitori, i quali non avevano una vera e propria cultura musicale in senso stretto ma erano molto curiosi e ascoltavano di tutto. Ero affascinato dal suono della musica che si ascoltava nei cinema e dal suono grande e avvolgente dei cartoni animati della Disney, molto diverso da quello del giradischi di casa. Iniziai a strimpellare malamente un armonium e un pianoforte che casualmente si trovavano nel luogo di lavoro mio padre, trafficavo col registratore a bobine Geloso… E suonavo le molle del tavolino della cucina, che era di quelli estensibili e aveva appunto un meccanismo a molle dal suono ipnotico e affascinante. Suonare sotto il tavolino era come entrare in un universo parallelo. Un’altra occasione di conoscenza musicale che mi ha segnato indelebilmente è stato l’incontro con l’organo Hammond che suonava in chiesa l’insegnante di catechismo, un ragazzo che poteva essere un mio fratello maggiore. L’organo a canne era rotto ed era stato pragmaticamente sostituito con uno elettronico – avercelo oggi un Hammond B3 originale degli Anni ‘60!… Un suono magico e mistico che mi colpiva ogni volta profondamente. Quel ragazzo suonava anche in un “complessino” e una volta mi portò a vedere le prove con i suoi amici. In quell’occasione mi si aprirono le porte su un ennesimo nuovo mondo meraviglioso da esplorare”.

Da piccolo chi immaginava/sognava di diventare “da grande” e che bambino è stato? Ci racconta un po’ – partendo dai Suoi primi passi – come e con quale proposito/speranza è arrivato a dedicarsi a quella che è la Sua professione e se in ciò ipotizza centri un po’ anche il “destino” (cos’è il destino?) o se piuttosto è dell’idea che l’essere umano sia il solo artefice della propria sorte? “Ho avuto la fortuna di vivere la mia infanzia in un periodo storico unico, a cavallo tra gli Anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso. Allora un bambino aveva tutto il tempo per vivere serenamente, giocare, dare spazio a sogni e fantasie. Non ricordo di essermi mai posto un obiettivo preciso per l’età adulta, ma nell’adolescenza alcuni interessi e passioni prevalsero e la musica era solo uno di questi. Avevo sviluppato una certa abilità pure nella fotografia e nell’elettronica – e in quel momento sembrava che, probabilmente, avrei seguito una di queste due direzioni. In realtà, alla fine. in qualche modo le ho seguite tutte e tre perché non riuscivo a fare una scelta netta. Ho continuato in parallelo a fare musica e a studiarla, a fare fotografie e a sperimentare nell’elettronica e nell’informatica. Musica, elettronica e informatica sono poi “confluite” nell’apertura di uno studio di registrazione e produzione musicale, insieme a due amici musicisti. La sensibilità estetica per l’immagine si è unita a quella musicale quando ho iniziato a scrivere musica per spettacoli di danza e teatrali e successivamente le prime colonne sonore per piccole produzioni locali. Inoltre, qualche anno fa, ho definitivamente affiancato alla musica un’attività di ricerca e sviluppo intorno a tutto ciò che può essere considerato Media Art. Credo dunque che siano le esperienze che ci predispongono a fare delle scelte davanti ai percorsi che ci si presentano. Percorsi che possono essere frutto di una ricerca consapevole, ma spesso anche completamente casuali. Forse l’identità dell’essere umano è proprio il segno, il limite che tracciamo più o meno consapevolmente e in modo fluido tra la probabilità del caso e la scelta”.
Se dovesse assegnare un titolo alle fasi più significative della Sua esistenza finora quale colore e quale canzone assocerebbe a ciascun periodo? “Sinceramente non riesco con facilità a individuare delle fasi, se non quelle scandite dalla natura. Un fase naturale è stata quella di diventare padre, c’è un netto confine tra il prima e il dopo. Per il prima direi il colore blu, per il dopo l’indaco …E l’altra fase è quando i capelli e la barba si imbiancano e lì capisci che, nonostante dentro di te il tempo sembri non passare, la biologia spietatamente presenta il conto. In questo caso nero per la prima fase, bianco per la seconda, con tutte le gradazioni di grigio in mezzo. Le mie musiche preferite comunque sono più o meno sempre le stesse, magari col tempo aumentano solo di numero man mano che conosco nuova musica”.
Cosa rappresenta per Lei l’Arte, la musica in particolare e il cinema e quale ritiene esserne il potere nonché principale pregio e valore? “L’arte in generale, se si vuole andare all’essenza, è una sorta di patto di fiducia tra l’artista e chi fruisce dell’opera d’arte. Si presuppone che l’artista abbia un’onestà intellettuale alla base e che il pubblico la sappia riconoscere ed apprezzare. Il valore sta nella potenza della verità che proprio l’artista trasmette col suo messaggio. Il pregio è che l’arte sposta la vita su di un gradino più elevato. Detto ciò, è chiaro che per arrivare a dare valore massimo a tutto questo sono necessari studi, meccanicità ed artifici che hanno una funzione strutturale. Voglio dire cioè che non credo all’arte pura. L’arte è possibile anche grazie a tutto quello che ci sta dietro, a tutto l’insieme di carabattole, umanità e contraddizioni che le permette [all’arte] di esprimersi e sopravvivere. I citati sono due piani solo apparentemente in contrasto, in effetti l’uno è il contrappasso dell’altro”.
Secondo la Sua sensibilità, o comunque per ciò che La concerne, si sente più affine a un’artisticità intimistica e “auto centrica”/autobiografica o maggiormente vicina al sociale-politico in senso ampio? “Non credo ci sia una separazione tra questi elementi. Nell’atto di fare musica ci va dentro tutto, l’esperienza interiore di quel momento e ogni cosa che ha contribuito a crearla. Inoltre, molte volte non si sa veramente cos’è e da dove viene l’impulso creativo. Capita di svegliarsi o di ritrovarsi improvvisamente con un’idea musicale che ossessiona finché non le si dà attenzione e forma. Indagare sui perché e sui come, spesso, è controproducente – in quel momento l’istinto ha la precedenza. Poi, si può cercare di capire a posteriori e penso che lo faccia meglio qualcuno che osserva questo meccanismo dall’esterno, non il musicista stesso”.
Nella società attuale quale ruolo Le pare giochi l’immagine visiva, l’estetica, nel veicolare significati in campo artistico (ad esempio nei videoclip musicali) ma pure nell’essere talvolta almeno in parte e di primo acchito il “bigliettino da visita” di ciascuno di noi? “Mi sembra abbia un ruolo forse un po’ sopra le righe ultimamente. Immagini ed estetica, come la musica, veicolano messaggi non verbali che finché rimangono nei binari dell’arte ci possono far crescere, possono farci riflettere e discutere. Quando invece diventano puro strumento di manipolazione subliminale o di marketing sono una forma di truffa, appunto di manipolazione inconsapevole. È la verità dell’arte che viene annullata. Oppure, viceversa, quando si usano i filtri per le foto o ci si nasconde dietro a un makeup esagerato o in generale ci si mostra molto diversi da quello che si è, annulliamo direttamente noi stessi”.

Quando osserva, legge, ascolta un artista, una persona di spettacolo, cosa La impressiona positivamente e cosa La entusiasma tanto da farglielo ritenere tale quale che sia l’ambito di attinenza? Vi è qualcuno che stima particolarmente, con il quale ad oggi vorrebbe collaborare e per quale motivo nello specifico? “Personalmente io non lo so perché ci si innamora e non lo voglio sapere, voglio solo godermi lo stato di grazia in cui mi trovo. È un qualcosa di misterioso che succede e si instaura tra due persone ed è bello che rimanga un mistero. In senso lato, se apprezzo uno scrittore, un musicista, un pittore, posso avere una vaga idea del perché ma alla fine della fiera non è il perché che mi interessa… mi interessa di più quel qualcosa, quell’energia che mi ha catturato e che mi dà dei momenti di verità ed elevazione unici – momenti che quel determinato artista evidentemente ha saputo e sa trasmettermi e che con altrettanta evidenza sono stato e sarò pronto a recepire. Personalità? Professionalità? Capacità comunicativa? Argomenti convincenti? Certo, c’è qualcosa anche di questo però credo siano elementi che da soli o complessivamente rappresentano solamente la parte meccanica dell’arte. È un po’ come pesare l’anima. C’è chi dice che sia di ventun grammi, lasciamoglielo credere. Non c’è una persona soltanto che stimo, sono molte in realtà e per motivi assolutamente diversi. Capirà che non posso rispondere più di così senza creare dei problemi”.
Ho una curiosità ossia quanto “pesano” rispettivamente il testo, la voce e la base musicale, la melodia, nelle canzoni che Lei predilige? “La canzone è un “oggetto” multimediale a tutti gli effetti, in cui ogni componente fa un gioco di squadra per ottenere un risultato collettivo. Proviamo a pensarla come una squadra di calcio. A volte è una squadra “all stars”, altre volte c’è un portiere bravissimo che rimedia ai problemi della difesa, altre volte ancora ci sono degli attaccanti micidiali che fanno un goal dietro l’altro ma il resto della squadra è al minimo sindacale. L’importante tuttavia è far passare e regalare novanta minuti di emozione agli spettatori, non importa come. Canzone è un termine ampio, ci rientrano poesie allo stato puro in cui la musica è un orpello di sfondo, come pure meravigliose costruzioni musicali in cui il testo si limita a tre parole in croce… Oppure altresì testi di grande livello e musica di grande livello ma con una voce che canta “fuori dal coro”. Sono, queste, tutte possibilità che ritrovo in canzoni che mi piacciono. La canzone deve arrivare a chi la ascolta, deve essere efficace nel veicolare il proprio messaggio e, ripeto, non ha una grande importanza il come. Oggi come oggi mi capita di ascoltare molte, ma veramente molte cose che mi lasciano perplesso. Canzoni in cui stento a percepire la benché minima traccia di talento e/o di arte”.
A proposito di social [https://instagram.com/gianlucasibaldi?igshid=YmMyMTA2M2Y=], qual è il Suo pensiero al riguardo e con quale finalità ci si approccia e li usa? I social che incidenza hanno nel Suo vivere e quale idea si è fatto del loro utilizzo nei più differenti settori? “Utilizzo i social solo come veicoli di promozione in occasione della presentazione di nuovi lavori. Non li utilizzo per altri tipi di comunicazione e comunque ne faccio un uso sporadico e casuale. L’idea che mi sono fatto è che abbiano amplificato le chiacchiere da bar o da sala d’aspetto a un livello inaccettabile (senza offesa per i bar, luogo per me fondamentale di socialità e di grandi brainstorming creativi… Inoltre, non riesco a tollerare l’ignoranza e la mancanza di rispetto ed educazione che straripano senza ritegno e senza decenza”.
Sono disponibili nei digital stores – su Spotify, Apple Music, Deezer, Amazon Music, Google Play, YouTube – gli album delle colone sonore che Lei ha scritto per Leonardo Pieraccioni. Ha piacere di condividere con noi le emozioni e i ricordi più cari con questo grande attore, regista, sceneggiatore, comico, cabarettista, scrittore nonché cantautore? E Sabrina Ferilli, che abbiamo visto recitare in “Il sesso degli angeli”, la conosce di persona? “Con Leonardo collaboro dal 1991, un’amicizia ormai più che trentennale. Quando si lavora fianco a fianco per tanto tempo, prima in teatro e poi nel cinema, è facilmente immaginabile che succedano tante cose che divertono ed emozionano. Ci vorrebbero parecchie pagine per scrivere tutto. Purtroppo, però, non ho il piacere di conoscere Sabrina Ferilli. Quando l’anno scorso sono andato sul set a Lugano non ci siamo mai incrociati perché eravamo presenti in date diverse”.
I ricordi, la pianificazione e la progettualità, la sperimentazione e l’osare quanto sono rilevanti nel Suo vivere e in che misura veicolano il Suo quotidiano? Nel lavoro, di solito, Le sembra di seguire l’istinto oppure la razionalità e non di meno ha idea che sia possibile la libertà del singolo pur non trasformandola in egoismo e tirannia del personale? “I ricordi sono la materia di cui siamo fatti. Dobbiamo, credo, stare attenti che questa materia non diventi una zavorra ma è comunque necessaria. La pianificazione è una necessità, anche in questo caso credo sia meglio non abusarne. La progettualità a braccetto con la sperimentazione costituiscono una coppia perfetta, che se poi ci si permette di osare al punto giusto si ottengono molto probabilmente dei bei risultati. La parola chiave è equilibrio dinamico, altresì nel mio quotidiano. In genere lascio a turno la libertà di parola a tutte le mie sfaccettature, dopo cerco una mediazione e in genere la trovo. Penso di essere un buon ascoltatore, di me stesso e degli altri ma so non di meno farmi ascoltare”.
In una realtà in cui spesso molto sembra “usa e getta” e nella quale la riflessione argomentativa viene sovente considerata una perdita di tempo tipica dei filosofi rispetto ad un elogiato quanto accelerato e vorticoso pragmatismo consumistico e “mercenario”, le decisioni da quale bussola Le sembrano orientate? Quali le priorità e i valori a timone della Sua di esistenza? Per me coloro che ‘usano e gettano’ possono continuare a usare e gettare quanto vogliono. Io preferisco riflettere con il tempo necessario, con l’accortezza di evitare che la riflessione si trasformi in un’impasse. D’altra parte mi sembra che di decisioni sensate, che portino a dei risultati di un certo valore, ne vengano prese sempre meno”.

Cosa connota l’autentico essere di una persona: l’intenzione e quello che, tuttavia, talvolta rimane in potenza o l’azione ovvero quello che si traduce sempre in effettività sul piano pratico? E al di là del percorso umano mosso dal pensiero e dall’azione, Lei ha fiducia in qualcosa di invisibile e altro dal terreno – in caso affermativo si è mai domandato come può sussistere la bontà, l’onnipresenza e l’onnipotenza di Dio di fronte ai mali non soltanto morali (dunque causati e derivanti dagli uomini) ma naturali (come terremoti, inondazioni, malattie)? “Direi che a connotare la persona sia l’essere in se stesso, al di là dell’effettività dell’intenzione o meno. Certo che a volte l’azione si rende indispensabile per comprendere veramente, o viceversa l’azione fa capire inaspettatamente delle cose in più. Difficile generalizzare. Non sono completamente ateo, ma nemmeno agnostico e neanche credo in un dio come viene descritto nelle religioni. Ho idea piuttosto che ci siano delle domande alle quali non saremo mai in grado di rispondere, il che mi fa propendere spontaneamente verso l’esistenza di qualcosa di superiore a noi capace di dare una risposta a tali domande. Alcuni giorni sono portato a credere ad una forma di “energia superiore universale”, mentre altri giorni sono più pessimista …non credo tuttavia assolutamente che questo abbia a che fare con fenomeni naturali o con la bontà o la cattiveria, che sono categorie esclusivamente umane”.

Giulia Quaranta Provenzano

A Suo parere, qual è l’origine principale d’ogni bruttura? Il modo in cui si fanno uscire le parole che incidenza ha nella reazione altrui? Il come si dice una cosa, difatti, fa sì che venga recepita (o meno) in un modo piuttosto che nell’opposto al punto che persino le verità più “scomode” si possono condividere, trovano seguito e strappano sorrisi e risate invece che avvelenare i soggetti interessati se dette in una certa maniera… non trova? “Certo, la forma è importante quanto il contenuto poiché – secondo me – in qualche modo la forma riflette il sottotesto inespresso appunto del contenuto. Lo dico anche basandomi sull’esperienza come musicista”.
Prima di salutarci vuole e può rivelarci, magari in anteprima, quali sono i Suoi prossimi progetti? “Ci sono varie cose quasi in porto, ma com’era il detto?!… «Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco»!”.