Oggi la nostra redattrice Giulia Quaranta Provenzano ci propone l’intervista al pavese Gianluca Giagnorio. L’artista, già noto anche in tv grazie ad “Amici” di Maria De Filippi, con l’occasione, si è raccontato

Ciao Gianluca, anzi MaLaVoglia! Iniziamo subito con una curiosità e cioè perché la -o del tuo nome d’arte è rappresentata da un palloncino rosso?“Ciao Giulia! Il motivo per cui la -o di MaLaVoglia è rappresentata da un palloncino risiede nel fatto che proprio i palloncini mi sono sempre piaciuti, mi hanno sempre dato l’idea che si può volare anche senza ali… e che, a volte, la vita è bella anche quando è leggera – basta lasciarsi condurre ed evitare di cercare di avere di continuo tutto sotto controllo, o di stare solo nei propri spazi mentali delimitati da paletti”.

Nel 2011 hai provato ad entrare nella scuola di Amici di Maria De Filippi, arrivando tra i primi quattro cantautori finali a concorrere per un banco. Cosa ricordi di tale partecipazione a diverse puntate in tv e cosa ti ha regalato una simile esperienza? “Ho dei ricordi bellissimi dell’esperienza da te citata perché grazie ad essa ho capito che sarebbe iniziato un percorso parimenti e straordinariamente entusiasmante. Poi più nello specifico, senza dubbio, una tale esperienza così importante appunto, ti segna… Inevitabilmente”.

Finita l’avventura ad Amici, hai assemblato una band per portare in giro le tue canzoni. È nata così l’idea di contattare i tuoi amici di vecchia data, con i quali avevi suonato già da ragazzino, ossia Carlo Vigo (chitarra) e Riccardo Fontana (batteria). Ci racconti un po’ di voi? “Io, Carlo e Riccardo eravamo grandi amici, amici legati dal sogno comune della musica. Tra noi tre è venuto ed avvenuto tutto spontaneamente, da sé. Esisteva, ad unirci, davvero un legame molto bello e altrettanto forte. Un po’ una magia quella che si creava ogni volta in sala prove, quando arrangiavamo i brani che scrivevo e che poi portavamo in giro”.

Con la tua band, intensa è stata l’attività live tant’è che un organizzatore di eventi nel Pavese vi notò e vi volle come gruppo di apertura al concerto di Umberto Tozzi, il 27 luglio 2013. Di quest’artista quale ne è la tua opinione e cosa stimi in massimo grado? “Umberto Tozzi è sempre stato uno dei miei artisti preferiti, sin da bambino. Vederlo dal vivo e condividere il palco con lui è stato stupendo, è un grande artista. Furono due ore di spettacolo, una hit dopo l’altra. Veramente un grande e, poi, super disponibile a condividere e parlare con noi”.  

I live, ieri e oggi, che cosa rappresentato per te e come li vivi? Inoltre affrontare un palco da solista com’è rispetto all’esibirsi in gruppo? “I live, per me, sono fondamentali. Non potrei pensare di fare musica senza poi salire su un palco e trasmettere dal vivo quello che scrivo nei miei brani. Esibirmi da solo, rispetto che con in gruppo, è diverso… non si ha l’energia della band. Con la mia band eravamo una squadra e avevo sempre la sensazione di poter contare sul gruppo… ciò, da solo, viene a mancare. È come se da solo fossi più esposto, quasi nudo. Io, le mie emozioni, la mia chitarra, la mia storia. Per questo li vivo, i live,  molto intensamente – sono come un tuffo dentro di me, nella mia vita, nel mio vissuto”.  

Nei mesi successivi al concerto di Umberto Tozzi, tu e la tua band – gli “iO” – avete collaborato con Marco Guarnerio e partecipato al Festival di Castrocaro nel 2014, con l’inedito “C’era una volta la lira”, arrivando sino alle semifinali. Ebbene qual è stata la genesi di questo brano? Da cosa deriva invece il nome “iO”? “Il nome “iO” era provvisorio. Ne stavamo cercando uno per la band e, il tale, gliel’avevamo messo quasi per gioco. Il brano “C’era una volta la lira”, che è ancora inedito, in realtà è già ben spiegato nel titolo. È, ossia, tutto il mio mondo… il mondo della mia adolescenza e dunque ho voluto metterlo in canzone quale fosse quasi una fotografia di ciò che ho vissuto tra la fine del ‘900 e l’inizio degli Anni 2000. La mia generazione è, difatti, quella a metà tra la Lira e l’Euro”.

A luglio del 2014 tu e gli “iO” avete aperto il concerto di Raf, in provincia di Pavia, dopodiché – finita la collaborazione con Guarnerio – hai proseguito da solo il tuo percorso artistico e accantonato l’attività live con la band: come mai, centra forse l’inizio della scrittura del tuo primo libro intitolato “Strade” o le motivazioni furono altre? “Oltre a me, a Carlo e a Jimmy, vi erano altri componenti nella band e questi altri componenti erano ragazzi che studiavano e avevano obiettivi diversi da me. È stato giusto prendere strade differenti. Il mio libro “Strade”, no, non c’entra nulla con la rottura ed anzi… grazie proprio alla rottura del gruppo, forse, ho avuto ancora di più la possibilità di capire fino in fondo alcune cose del mio percorso”.

Nel 2015 ha poi proseguito la tua attività live da solista e il 18 luglio hai aperto il concerto dei Nomadi, ancora una volta in provincia di Pavia. Come sei riuscito a ottenere questa prestigiosa occasione? “Semplicissimo. Ho mandato un messaggio su Messanger a Beppe Carletti, che avevo conosciuto alla mia prima partecipazione ad Area Sanremo. In quell’occasione, ad Area Sanremo, non passai neanche le selezioni iniziali ma mi fu data poi la possibilità di aprire un concerto dei Nomadi. Il bello della vita…”.

Il tuo libro “Strade” – cito – è il racconto del tuo percorso musicale e di vita, tra la tua voglia di farti ascoltare e le mille difficoltà delle generazioni di oggi. C’è una motivazione portante che credi di aver individuato del perché sei sempre stato mosso dalla detta forte esigenza e ci dici quali sono state le tue principali difficoltà? “Ho pubblicato un libro, “Strade”, perché mi è sempre piaciuto scrivere e in casa ho decine di storie iniziate e mai finite. Quando decisi di far uscire una mia opera, volli iniziare dal diario della mia vita. Le principali difficoltà che ho riscontrato e vissuto, probabilmente, sono le stesse di chi come me cerca di realizzare un progetto personale. Si hanno numerose problematiche da affrontare, in primis la nebulosa che si ha dentro di sé e i problemi col proprio io in quanto, per realizzare veramente un sogno, occorre tanto ma tanto coraggio”.

Nella primavera del 2016 “Strade” diventa anche un concept show teatrale che viene riproposto in musica in diversi teatri del nord Italia ed è così che assembli una nuova band alla quale si aggiungono – oltre i già citati Carlo Vigo e Riccardo Fontana – Francesco Tripicchio (diplomato NAM, basso elettrico), Mauro Casari (diplomato NAM, chitarra) e Nicolò Secondini (diplomato CPM, tastiere). Benché tu sia un cantautore, qual è il tuo punto di vista sulla recitazione e cosa hai idea sia imprescindibile per un attore? “In realtà non saprei, perché alla fine non ho recitato alcuna parte… se non la mia. Tra l’altro, raccontandomi in musica… quindi veramente non saprei dare una risposta esatta. Quello che posso dire, forse, è che suppongo che per un attore sia importantissimo entrare il più possibile nel personaggio”.

L’empatia, nella vita e per un attore in ispècie ma più in generale per un artista, quanto è importante e quale metafora o immagine utilizzeresti per spiegarla ad un bambino? L’ironia invece quale valore incarna e aggiunge, conferisce, all’esistere? “Penso che ad un bimbo non spiegherei nulla, piuttosto lo osserverei. Ecco, l’empatia la trovo nei bambini e nel mondo in cui vedono. L’ironia invece… beh, credo che la risposta un po’ stia già nel palloncino di MaLaVoglia. La leggerezza è un valore importante… [sorride, ndr]”.

Con la tua band sei stato chiamato, nel 2016, ad aprire il concerto di Alex Britti e il 15 luglio 2017 quello di Roberto Vecchioni. Qual è il “filo rosso” emotivo che ti collega a ciascuno di loro? “Alex Britti è stata una piacevole scoperta e il live pure. Da adolescente mi ero innamorato di “Una su un milione” e l’avevo pure dedicata alla mia fidanzatina dell’epoca. Con Vecchioni, il legame è più radicato… nell’anima. Lui ha scritto “Sogna, ragazzo, sogna”, un inno per e a chi crede nei sogni e in qualcosa di grande. Ricordo che vi ebbi un bellissimo dialogo prima del concerto, gli parlai del mio libro e gliene lasciai una copia. Aveva con sé una band straordinaria, sia dal punto di vista musicale, che come persone. Fu uno dei concerti più belli della mia vita”.

Nel 2017 con il tuo gruppo di musicisti decidi di registrare il primo EP, affidandovi alla direzione artistica di Davide Maggioni. Come mai avete scelto lui, mentre dell’EP cosa ci sveli magari di rimasto inedito? “Davide ci scovò ad un live, in un locale in provincia di Pavia. Iniziò così una bellissima collaborazione che è durata nel tempo. Adesso ognuno ha preso la propria strada, ma è grazie a lui se ho potuto fare alcuni primi passi importanti. Ho tanti inediti ancora rimasti nel cassetto”.
Sempre nel 2017 con la tua band siete arrivati finalisti di Area Sanremo. Da, per metà, Imperiese mi sorge quasi inevitabile chiederti il Festival della Città dei Fiori che cosa simboleggia per te e se quest’anno “tifavi” per la vittoria della canzone “Brividi”, di Blanco e Mahmood. “Sanremo è Sanremo, no?! Nel 2018 aver vinto, con “Camoscio”, Area Sanremo è equivalso a vivere il Festival da molto vicino. È stata una meravigliosa corsa. Quest’anno non tifavo per nessuno, non mi sono ritrovato nelle canzoni in gara…”.

Adesso ancora una penultima domanda ovvero nel 2018 esce il singolo d’esordio, tuo e del tuo gruppo musicale, dal titolo “Allevati a Terra”. Quale l’origine e il motore di questa canzone? “Il brano “Allevati a Terra” nasce in una mattina assonnata di marzo. Apro il frigo e trovo un pacco di uova con scritto che erano provenienti da galline libere allevate a terra. Ecco… come possono essere galline libere se vengono allevate? Ho pensato che la medesima situazione si ripropone nella nostra società. Crediamo di essere liberi, ma poi siamo tutti dentro ad un recinto che la società ci costruisce attorno”.

Infine, quali i progetti per quest’estate e da qui alla fine del 2022? “Musica live, tanta… e a settembre nuovi singoli e, chissà, magari anche il primo album. C’è molta carne al fuoco, ho due anni da recuperare. Voglio fare bene e dopo vediamo che succede”.