Oggi la nostra redattrice Giulia Quaranta Provenzano ci propone l’intervista al musicista e cantautore. Nell’intervista che ha rilasciato, l’uomo ha parlato della sua concezione della musica quale professione a pieno titolo… pertanto altresì delle ragioni del necessario onorario che le va riconosciuto!   

Buongiorno Massimo! Vorrei iniziare col domandarti quando, come e soprattutto da quale motore interiore ha avuto origine il tuo impegno e la tua dedizione in campo musicale. “Buongiorno Giulia e grazie di avermi dato questo spazio! Ho iniziato a suonare prima di cominciare a parlare… È un istinto che ho sempre avuto fin da piccolissimo, passavo pomeriggi interi a suonare l’organetto elettronico in camera di mia sorella maggiore, a inventare melodie, a cantare quello che sentivo alla radio, a scrivere piccole poesie, racconti, bozze di quelli che sarebbero diventati testi. A tre anni d’età ho preso a giocare – to play music – con la musica. È, ciò, un qualcosa che è partito da me… un “karma” mio, direbbe un buddista. In casa non c’erano musicisti e nemmeno cantanti e autori. Per trovare chi avesse un innato senso del ritmo nella mia famiglia, bisogna andare indietro nei secoli addirittura alla fine dell’800… al mio trisnonno da parte di papà, nato nel 1875 e morto nel 1975 (a cent’anni tondi). Lui era una specie di rapper ante litteram. Improvvisava quartine in rima baciata, in dialetto sardo (io infatti sono di origini sarde, anche se sono nato a Roma), nelle feste di paese e durante i matrimoni o comunque ovunque ci fosse un “pubblico”. Faceva scegliere un argomento alle persone e per l’appunto improvvisa, in tempo reale, rime perfette sull’argomento. Aveva la metrica chiara in testa, leggeva e si allenava molto nel tempo libero dal lavoro di ferroviere. Praticamente faceva free style, aiutandosi solo col battito delle mani a tempo di 4/4. Mi dicono pure che tradusse tutto l’“Inferno” di Dante in dialetto nuorese, oltre a comporre poesie. Purtroppo tutto questo è stato dato al fuoco, dopo la sua morte, da alcuni parenti che non credo avessero capito la rarità di quei suoi lavori. Ho quindi idea che sia nel mio codice genetico, saltate tre generazioni, il senso del ritmo e della metrica. L’ho ereditato dalla musicalità proprio del mio trisnonno Battista Fadda, che approfitto qui per ricordare. Per il resto, penso che la Musica sia un istinto naturale che ho preso più sul serio a partire dal compimento dei miei dieci anni. Dai dieci ai vent’anni ho studiato con un Maestro eccezionale, Stefano De Meo, che mi ha insegnato tutto quello che mi è servito nei decenni successici. È stato allora che ho sviluppato, grazie al suo training e alla mia fame di imparare, il mio orecchio e la mia capacità di intonarmi (perché ero stonatissimo inizialmente), di scrivere e di suonare musica da solo e con altri e ogni aspetto dell’universo musicale. Il motore è stato ed è solo la passione, l’istinto, nulla di speciale. È la Musica che mi ha scelto e non io che ho scelto Lei razionalmente… e, benché sembri forse una frase esagerata, è così che la vedo”.      

Da piccolo chi desideravi diventare “da grande” e che bambino sei stato? Comincio dalla seconda parte della domanda. Sono stato un bambino molto timido e, mi riferiscono, abbastanza dolce. Parlavo poco, osservavo tutto di tutti. Fino ai cinque anni d’età ero cicciotto, con occhi grandi e chiari, una calamita di baci e coccole soprattutto dati dalle componenti femmine della famiglia… da mia sorella maggiore e dalle sue amiche, dalle mie zie, da mia nonna e ovviamente dai miei genitori. Ero parecchio curioso e a volte entravo in un mondo completamente mio, fatto di immaginazione, di musica, di stupore (come, chissà, magari è tipico di tutti i bambini). Ricordo che un giorno, in prima elementare, la maestra mi pose la stessa domanda per molte volte di fila – eppure nulla, ero completamente catturato da una canzone napoletana che usciva dallo stereo di una macchina fuori dalla finestra della mia classe… quindi ero talmente concentrato su ciò che volevo io, che in pratica risultavo distratto inerentemente a quello che volevano da me gli altri. A dieci anni ho intuito che da adulto avrei vissuto di musica a 360° gradi, tuttavia la decisione vera e propria si è incisa nella mia anima ed è avvenuta durante un’esibizione dal vivo in un locale in Sardegna. Qualcuno mi disse di andare sul palco e cantare qualcosa. Avevo tredici anni, mi trovavo in vacanza con mamma e papà, con mia sorella e il suo ragazzo. Mi misi al piano e il cuore andava a mille ma, una volta seduto di fronte allo strumento, fu come essere a casa. Suonai e cantai ‘Caruso’ di Lucio Dalla e ‘Sapore di Sale’ di Gino Paoli. Rammento come fosse ieri che le persone si avvicinarono alla tastiera a gruppi di 4-5, per verificare se stessi veramente suonando e non ci fossero invece delle basi sotto. Ero uno scricciolo secco e piccoletto, con ancora la voce bianca che però mi consentiva di cantare Caruso in tonalità originale e senza alcuno sforzo. Mentre suonavo e cantavo ero potente, finito tornavo a essere abbastanza impacciato e insicuro. L’anno successivo tornai nello stesso posto, diversi centimetri più alto, coi miei primi occhiali da vista e con la voce che aveva fatto la prima muta… si era abbassata almeno di tre toni, le corde si erano irrobustite. Ero lì per lavorare, feci tutta la stagione al pianobar e le sere di pausa andavo al locale dei dodici mesi precedenti. Capitò che presi il posto del cantante ufficiale, cantai un pezzo di grande successo quell’anno e cioè ‘Se adesso te ne vai’ di Massimo Di Cataldo. Lo stato d’animo era di pace assoluta e gioia totale mentre cantavo, suonavo, alzavo la testa e ammiravo il cielo. Poi guardavo davanti e vedevo la gente che mi ascoltava, abbassavo lo sguardo e scorgevo le mie mani che andavano quasi da sole come in una specie di trance lucida. Una sensazione impagabile, questa. La mia timidezza spariva e diventavo un’altra persona, la Musica si metteva fra me e le persone – rendendo tutto magico. Il tale or ora raccontato è stato il momento in cui ho deciso che, per tutto il resto della mia vita, avrei fatto solo e sempre ciò. Da grande avrei sempre e solamente fatto Musica”.

Come, quando e da cosa ha avuto origine il tuo nuovo Ep intitolato “Come Finirà”? Ci racconti qualcosa che ti sta particolarmente a cuore d’esso? “L’album nominato l’ho scritto durante la pandemia. Ero solo dalla mattina alla sera, in una nuova casa e in una nuova città, senza web e senza tv, isolato da tutto e da tutti… non soltanto a causa del lockdown, ma anche per le mancanze dovute al fatto d’essermi appena trasferito. Scrivevo continuamente, tutto il giorno, per non soccombere al senso di solitudine (che abbiamo vissuto tutti, chi più e chi meno… io, certo, di più di altri). C’è voluto coraggio ed è stato necessario il mio amore per la musica per non cedere allo sconforto. Mi ha salvato darmi un ritmo di scrittura giornaliero, ho composto diciotto canzoni, non di getto, bensì lavorando dalle ore 9 sino a mezzanotte e mezza, ogni dì per quaranta giorni. Ho espresso me stesso come non ho mai fatto prima. Unica eccezione? Il brano intitolato ‘Come finirà?’ che avevo iniziato in un hotel di Sanremo, al piano della hall di un albergo, all’età di sedici anni. L’incisi poi, chitarra e voce, nel 2020 e – via Instagram – lo inviai a un cantante molto famoso il 24 dicembre 2021. Mi rispose che mancava il ritornello. Io replicai di scriverlo lui. Lui mi rispose la medesima mia cosa, così l’ho scritto al volo e gliel’ho mandato dopo tre giorni. Non ebbi alcuna risposta, non di meno capii che funzionava molto e gli ho riscritto ringraziandolo e comunicandogli che avevo trovato un artista che poteva cantarlo. Quell’artista ero io! Così, a distanza di venticinque anni, ho chiuso il pezzo e l’ho realizzato e pubblicato grazie a musicisti di livello e a Simone Mammucari che mi ha supportato sotto ogni punto di vista in questa mia nuova avventura. Ho intitolato l’Ep con il titolo omonimo, vale a dire ‘Come finirà?’ che è una domanda aperta. Una canzone iniziata a sedici anni come poteva finire? L’ho scoperto a quarant’anni. Cosa succederò dopo? Cosa farò? Come lo farò? Nessuno lo sa e a me questa incognita sul futuro non spaventa, piuttosto mi eccita invece e lo sono proprio in termini erotici. Sono galvanizzato dal sapere che davanti a me c’è un mare vasto di opportunità, l’età non esiste per chi vive nella musica ché la musica non ha età ed è sempre tutto possibile”.

A proposito di social, con quale finalità ti ci approcci e li utilizzi (clicca qui per accedere al profilo Instagram)? “Instagram è la vetrina del mio negozio. Io vendo racconti cantabili ed emozioni, vendo musica e vendo testi, vendo anche lezioni di musica e vendo consulenze musicali. In qualche modo, in fondo, vendo me stesso. Questo è il mestiere che faccio da quando sono ragazzino. Come diceva spesso Marcello Mastroianni, pure per me, so’ tutti clienti… quindi considero i social un posto in cui esibire la merce. So che può sembrare una frase forte e che la parola ‘merce’ è un po’ volgare e sembra levare poesia a tutto il mio mondo, ma la uso apposta perché finché non si entra nell’ottica che la propria musica è il proprio mestiere e ha delle regole e degli orari e che vi è della competizione nel mercato, non potrà mai diventarlo un lavoro ovviamente. Io quando parlo di ciò che faccio, utilizzo con serenità termini commerciali come se parlassi di una panetteria, o di un negozio di scarpe, o di profumi. Ho molto chiaro nella testa che nel momento in cui si vuole entrare nel mercato, come autore, come cantante, come insegnante, come produttore musicale, bisogna ragionare in termini di compra-vendita senza tante timidezze. Vedo troppi musicisti, anche bravi, che ancora faticano a farsi rispettare in termini economici e che ora non sono in grado di stipulare da sé contratti per i lavori che svolgono. Sono impacciati in quanto la realtà è che loro stessi non riescono a considerare la musica un lavoro e questo è un grave problema perché alimenta la concezione, tutta italiana, che la musica sia poco più che un gioco (come pensa chi è al Governo). Alimenta ossia la frustrazione di chi potrebbe lavorare molto bene, ma non ci riesce perché si fa prendere dalla parte emotiva, giocosa, piacevole della musica scordandosi che è un mestiere… e, come ogni mestiere, necessita di competenza e studio, tempo e soldi. Io non sono né ricco, né povero. Vivo della mia professione e ciò passa altresì dal saperle dare il giusto valore e comunicarlo in modo deciso e netto. Sono cresciuto con l’etica del lavoro applicata alla musica forse proprio perché da ragazzino ho subito imparato una certa disciplina legata a questo. Per cantare alle ore 21 cenavo alle ore 18,30. Durante il giorno, anche se andavo al mare, stavo attento a non raffreddarmi poiché sapevo che dovevo cantare sei sere a settimana, per tre mesi consecutivi e che ciò era la mia fonte di guadagno. Quando la serata finiva al locale, spegnevo il mio impianto e avevo cura che tutto fosse tenuto bene, compilavo il modulo borderò Siae e mi recavo a suonare con altre band in altri siti e dopo a letto. La musica è poesia, è intrattenimento, è lucette, stelline, spettacolo, emozioni. È tante cose, ma per chi lo fa di professione è lavoro e basta e… di conseguenza, Instagram non è altro che lo spot continuo del mio mestiere, il mestiere più bello del mondo”.

Infine puoi anticiparci quali sono i tuoi prossimi progetti e, magari, rivelarci qualche chicca in anteprima? “Il mio prossimo progetto è ciò che farò domani mattina, occuparmi di pubblicare una canzone che ho scritto e co-prodotto con una ragazza talentuosa, seguendo ogni dettaglio con amore, in modo che fra trentacinque anni tale canzone possa dire la sua e tra cinquant’anni possa essere riarrangiata e ricantata così come Giuliano Sangiorgi ha fatto con Domenico Modugno. Io vivo il mio lavoro giorno per giorno, passo per passo, pensando sempre al lontano futuro. Mi concentro sul piccolo, perché penso in grande. Pensando in grande si può ottenere qualcosa di dignitoso nel medio e lungo termine. Pensando in modo moderato si ottiene solo qualcosa di modestissimo e ragionando in modo modestissimo non si ottiene alcunché. Questo è il mio pensiero, come vivo e come agisco… poi chissà… come finirà?”.