Eccoci con lo  speciale dedicato alle mostre. A Sassoferrato le opere di Nicola Samorì dialogano con quelle di  Giovanni Battista Salvi. A Roma la mostra “Las Mujeres Que Me Habitan”. A Termoli “La soglia (poesia, poesia, poesia).

“SALVIFICA
Il Sassoferrato e Nicola Samorì tra rito e ferita”
a cura di Federica Facchini e Massimo Pulini
fino al 15 gennaio 2023
Palazzo degli Scalzi
Piazza Antonio Gramsci 1
Sassoferrato (AN)

SALVIFICA. Il Sassoferrato e Nicola Samorì, tra rito e ferita Il manifesto della mostra è una sintesi grafica tra un’opera del G.B. Salvi e una di Nicola Samorì
Venerdì 28 ottobre a Palazzo degli Scalzi di Sassoferrato (AN) ha aperto la settantunesima edizione della Rassegna Internazionale d’Arte | Premio G. B. Salvi con la mostra SALVIFICA. Il Sassoferrato e Nicola Samorì, tra rito e ferita, a cura di Federica Facchini e Massimo Pulini, una monografica dell’artista contemporaneo Nicola Samorì in dialogo con dieci dipinti inediti di Giovanni Battista Salvi detto “il Sassoferrato”, pittore del XVII secolo. La mostra permette di cogliere due artisti lontani nel tempo, Giovan Battista Salvi (Sassoferrato 1609-Roma 1685) e Nicola Samorì (Forlì, 1977), in un dialogo stringente, inedito e folgorante. Entrambi sono accomunati da vari aspetti, a partire dall’attitudine quasi ossessiva alla “ri-scrittura” di temi e modelli che si traduce in una rielaborazione continua e vorticosa delle immagini, che si offrono quasi con impavida sfrontatezza a circuitare tempo e memoria visiva. Ad accomunare i due artisti interviene inoltre una sorta di dipendenza dalle forme e una forte volontà di indagine nei meandri della pittura. Le dieci opere inedite del Sassoferrato permettono di tracciare una limpida costellazione dell’attività artistica del pittore. La sezione storica parte da due recenti scoperte di tele giovanili (un Amorino con chitarra e Tre putti e un tritone), eseguite quando ancora si trovava nella bottega romana del Domenichino, costituiscono un rarissimo esempio della sua formazione classicista.Verranno esposte redazioni inedite e autografe dell’Addolorata, dell’Annunziata e del Salvator Mundi, iconografie che hanno determinato il successo dell’artista, spingendolo a una ossessiva ripetizione che non intaccò il suo mirabile talento esecutivo. Saranno anche in mostra varianti mai pubblicate della famosa Madonna col Bambino dormiente e la ritrovata Madonna col Bambino e san Giovannino, la migliore versione tra quelle finora conosciute di un’invenzione tarda. Si traccia in questo modo un coerente racconto dell’intero arco professionale del Sassoferrato e alcune opere, come la Vergine orante del manifesto, saranno poste a fianco delle intense interpretazioni eseguite per l’occasione da Nicola Samorì. È nella serie La bocca (2022) che si concretizza il dialogo più stretto di Samorì con il Salvi, esemplificandosi quel concetto di “ripetizione differente” espresso tanto dall’uno quanto dall’altro artista. Se per il sentinate la reiterazione di una immagine devozionale, sacra, pia, corrisponde a un mantra spirituale e salvifico – appunto – per l’artista ravennate diventa un’occasione per mostrare la lenta e progressiva consunzione della materia, dell’immagine, dell’identità: la ferita invade lentamente lo spazio e ci insegna che l’arte non è più qualcosa di confortante ma anche un qualcosa di destabilizzante purché faccia riflettere. Lucia (2019) è uno dei primi lavori che Samorì iniziava a realizzare attorno al geode. La santa offesa nello sguardo, Santa Lucia, qui mostra i segni evidenti del suo martirio. Il trauma si evidenzia tanto più ci si avvicina all’opera portando l’osservatore quasi ad uno sguardo interiore, alla scoperta di “cosa” abbia causato quel dramma. Samorì riesce a sconfinare dalla pittura alla scultura e viceversa, mostrandoci come dentro la voragine, dentro al buio, dentro al buco, ci sia possibilità di riscatto, di rinascita: il mistero della vita. Anche nella scultura con Artaud (2021) Samorì sceglie di riferirsi a un personaggio emblematico del Novecento, il drammaturgo francese teorizzatore del Teatro della Crudeltà, dove anche qui crudeltà non significa tortura e dolore, ma al contrario catarsi. Samorì rende visibile tutto questo attraverso un corpo arcuato, sofferente, emaciato, che si sfalda sotto i colpi di un disagio fisico e psicologico, sempre più frequente e manifesto nella società contemporanea. Altra scultura la Madonna del sasso (2022) rivela ancora il suo legame con l’antico, con suggestioni formali derivate da un bassorilievo del XV secolo, attribuito al Laurana. Anche qui la forma classica si sfalda, perde l’antica levigatezza per farsi scabrosa, bubbonica. Appare come se fosse realizzata con gli scarti delle opere che l’hanno preceduta. Una maternità anticlassica per eccellenza ma che ci suggerisce come anche dove non c’è bellezza ci possa essere amore e dolcezza. La mostra sarà accompagnata da un catalogo con i testi dei curatori Federica Facchini e Massimo Pulini e le immagini di tutte le opere esposte. La mostra sarà aperta fino al 15 gennaio 2023. Orari: venerdì, 15.30-18.30 - sabato e domenica, 10-13 | 15.30-18.30 . Mostra chiusa il 25 dicembre 2022 e 1 gennaio 2023. Ingresso: biglietto intero € 3,00 - biglietto visite guidate € 5,00 - ridotto € 2,00 (ragazzi 7-14 anni; studenti universitari; ultra sessantacinquenni; soci del Touring Club Italiano su presentazione della tessera associativa; comitive di 10 o più persone) - omaggio: bambini 0-6 anni, disabili con accompagnatore

“María Ángeles Vila Tortosa
LAS MUJERES QUE ME HABITAN”
a cura di Annalisa Inzana
fino al 22 dicembre 2022
Studio Maria Angeles Vila Tortosa
Via di San Martino al Monti 9,  – Roma

Carmen Amaya, tecnica mista su carta, 2022. cm 70×50
Il racconto di un percorso artistico e di una ricerca in continua evoluzione, la centralità della memoria e della famiglia nella costruzione della propria identità, donne straordinarie conosciute e non, in un grande mandala composto da più di trenta opere prodotte tra il 2009 e il 2022: tutto questo e molto altro è “Las Mujeres Que Me Habitan” mostra personale di María Ángeles Vila Tortosa a cura di Annalisa Inzana, che il 27 ottobre 2022 inaugura gli spazi del nuovo studio dell’artista a Via di San Martino ai Monti a Roma. “Las Mujeres Que Me Habitan” nasce per celebrare i vent'anni dalla prima mostra romana dell'artista e l'apertura del suo nuovo studio. Due decenni di attività, in cui la sua poetica si è evoluta da una ricerca astratta di forte influenza novecentesca, con cui ha esplorato le infinite possibilità della materia, a una ricerca che si interroga sul femminile, sugli stereotipi di genere, sul ruolo delle donne nella società contemporanea. Le opere, esposte in forma di un grande mandala, fanno parte di cinque produzioni diverse: Paesaggi della memoria (2010-2014),Cultura Domestica (2015 – in corso), Hysteria (2018), Atrium Vestae (2020-2021) e Botánica Domestica (2021-2022), insieme ad alcuni lavori recenti e un ritratto di Carmen Amaya figura leggendaria del flamenco spagnolo. La mostra parla di quello che per motivi consapevoli o no, è rimasto fondante della persona che siamo diventati. L’artista ha raccolto per anni le fotografie delle donne della sua famiglia che sono state conservate accanto a immagini di donne mai conosciute, lontane nel tempo e nello spazio, trovate per caso: persone che la abitano perché parte del suo patrimonio genetico e del suo patrimonio sentimentale, psicologico, emotivo e che hanno negli anni abitato le sue opere su tela, su carta, su metallo. www.mariangelesvila.com

“RENATO LEOTTA
LA SOGLIA (POESIA, POESIA, POESIA)”
Vincitore del premio mostra della LXII edizione del Premio Termoli
fino al 29 gennaio 2023

MACTE – Museo di Arte Contemporanea di Termoli
via Giappone – Termoli (CB)

Grazie al premio mostra assegnato in occasione della LXII edizione del Premio Termoli, fino al 29 gennaio 2023 Renato Leotta (Torino, 1982) è protagonista al MACTE Museo di Arte Contemporanea di Termoli della mostra personale La soglia (poesia, poesia, poesia). Con il suo lavoro, che include film, sculture e fotografie, Renato Leotta osserva un paesaggio che si manifesta in momenti di percezione liminale, intendendo la soglia come un luogo di conflitto nato dall'incontro di uno spazio con un altro. Proprio in questo limite, come in una spiaggia, il tema poetico, narrazioni e tutte le letterature nascono dall'approssimarsi del mare con la terra in un fluire illusorio del tempo. La rotonda del MACTE raccoglie una selezione di film in 16mm registrati dall’artista: LUCE (2018) in cui la ripresa di un frutto si smargina, perde di fuoco, diventando forma, colore e luce; Fiumi (2021) dove l’acqua delle fontane barocche del centro storico della Capitale, seppur montati su dei monitor senza sonoro, risuonano nel contrasto con una Roma silenziosa e deserta da lockdown. Infine appunti per immagini raccolti in pellicola e tratti dalle esplorazioni fatte dall’artista lungo le coste del Mar Mediterraneo a partire dal 2010 al presente. Leotta trae ispirazione “dalle linee e forme che il mare crea sulla spiaggia ogni volta che ritira con le maree”. I calchi di gesso che costituiscono Gipsoteca (2012–) sono modellati dal fluire delle maree del Mar Adriatico e portano nelle sale del museo l'immagine immobile di una risacca scolpita. Ci sono luoghi che ci si lascia alle spalle insieme alle scie di una nave e ci sono fiumane di persone che si riversano scendendo da un treno, come nel film in bianco e nero del 1961 di Gino Brignolo Torino Amara, in prestito dall’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza di Torino, che documenta la perenne condizione che porta ad emigrare in altri luoghi. La mostra è accompagnata da una selezione di opere della collezione permanente del Premio Termoli, che comprende anche l’opera restaurata Pittura G.R. di Pino Pinelli che vinse nell’edizione del 1983.
www.fondazionemacte.com