Intervista con l’autore di due romanzi che esplorano i sentimenti umani e la tendenza di guardare ai propri limiti come ostacoli da superare. L’autore ha risposto alle domande sui suoi lavori.
Siro Comencini è autore di due romanzi che esplorano i sentimenti umani e la tendenza di guardare ai propri limiti come ostacoli da superare. Stiamo parlando di “Ikigai” (2021) e “Step Back” (2022), opere pubblicate dall’editore veronese Qui Edit, che stanno raggiungendo numerosi lettori e lettrici.
Per il magazine Ottiche Parallele ho avuto il piacere di intervistare lo scrittore Siro Comenicini, con la volontà di tracciare un suo profilo in quanto autore e di approfondire ciò che precede e segue la pubblicazione dei suoi romanzi.

Siro Comencini: scrittore e professionista del commercio internazionale. Allenatore e preparatore sportivo, l’influsso dello sport e dei suoi valori sono presenti sia nel primo che nel secondo libro. In tutti questi anni di esperienza che cosa ti ha portato a considerare lo sport come qualcosa di necessario a ognuno di noi? Quale pensi sia il suo valore? Quali gli effetti che esso comporta nelle vite di chi lo pratica?
Dico spesso che per me lo sport è una forma di arte, a me ha insegnato molto già dai primi anni di gare da bambino. Non parlo dell’aspetto tecnico, parlo di quanto mi abbia permesso di conoscere me stesso, il mio corpo e il mio rapporto con il mondo. I suoi valori sono molteplici e non hanno correlazione con il livello di appartenenza nel gioco, hanno a che vedere con la costruzione di un uomo in tutta la sua essenza, a partire dal rispetto per un avversario come l’imparare a lottare per un obiettivo comune, per arrivare alla sopportazione di una sofferenza nel nome di un valore. Di sicuro, ogni sport comporta un miglioramento naturale e gratuito della condizione fisica che naturalmente si riflette direttamente anche su quella mentale. Al di là dell’agonismo, che porta in seno anche dinamiche potenzialmente deleterie, lo sport ha una valenza assoluta nell’insegnamento dei valori sin dalla prima età evolutiva.
Sia “Ikigai” che “Step Back” sono stati entrambi pubblicati dall’editore Qui Edit. In che modo hai pensato che i suoi due libri meritassero attenzione editoriale? Quando hai cominciato a buttare giù le prime pagine di “Ikigai” sapevi già che poi avresti provato a trovare loro una casa editrice? L’estro artistico è stato fin da subito influenzato dalla traiettoria che le tue opere hanno poi seguito? Per utilizzare le tue parole: pensi che il loro ikigai fosse la pubblicazione o l’atto compositivo?
Una bellissima domanda, grazie. Per me è molto semplice, l’arte non può e non deve essere subordinata alle logiche di diffusione della stessa. Con tutti i rischi annessi e connessi, al momento non mi sono ancora trovato nella posizione di voler pensare alla scrittura nella sua forma editoriale prima che meramente comunicativa ed espressiva. Solo ora, dopo due libri, penso che parte del mio miglioramento possa passare anche da una logica costruttiva e coerente nella produzione da parte di una casa editrice. La verità è che non so se sarò mai pronto a rinunciare alla purezza di un’espressione scevra da filtri esterni: ho però iniziato a studiare profondamente il settore per trovare un punto d’incontro che non mi faccia sentire violato negli intenti ma valorizzato al punto giusto.

A proposito di Ikigai, questa parola si è ormai diffusa su ampia scala eppure, come spesso capita, non tutti sanno di quale filosofia si fa portavoce. Ti va di raccontarmi con parole tue che cos’è l’ikigai e come ne sei venuto a conoscenza?
Ikigai, nella sua accezione originaria significa “ragion d’essere”, e io nel mio piccolo ho trovato in questa filosofia il percorso interiore prediletto. Ho speso anni a cercare equilibrio tra i picchi emotivi più arguti in me, trovando spesso solo frustrazione e disagio, oggi mi limito ad accettarli ed evitarne il pregiudizio per gustarne l’essenza. Ho trasformato tutto in Ikigai, e cerco di farlo scegliendo la logica dell’esperienza costante a dispetto dell’autocritica che mi rende immobile nel progresso emotivo che sento di voler agevolare.
Osservando il colophon dei tuoi libri, emerge come tu non abbia perso tempo tra la prima e la seconda pubblicazione. Facendo due calcoli, possiamo dire di essere quasi in ritardo rispetto al passato; perciò, te lo chiedo senza troppi giri di parole: stai scrivendo qualcosa? Hai dei progetti futuri o in corso che riguardano nuove storie? Puoi anticiparci qualcosa?
Pensa che io ho la sensazione di averne perso un sacco di tempo, proprio perché ho passato la vita a chiedermi se fossi giusto in qualsiasi cosa invece che esprimermi in tutto quello che ero per scoprirne tutte le sfumature. Quindi sì, sto scrivendo il terzo di cui non dirò il titolo, posso però affermare che tornerò a parlare di amore nella sua forma più adulta e con la voglia di espormi su temi comuni tipici della mezza età. Voglio parlare della coppia nella sua seconda fase, oltre la conoscenza, lontano dai clamori dell’idillio iniziale, per potermi concentrare sulla quotidianità e la profonda analisi degli struggimenti che ci possono travolgere in ogni momento della nostra esistenza con la persona amata. Sto cercando di scavare a fondo e voglio prendermi tutto il tempo che mi serve per farlo superandomi nel livello di consapevolezza espressa sino a oggi.
Trovo sempre molto curioso comprendere quale sia la percezione personale dell’autore all’interno del proprio percorso editoriale. Da quando hai pubblicato il tuo primo libro c’è qualcosa che non hai apprezzato – o non apprezzi – dell’intero sistema? Quali sono le criticità, i difetti? E dall’altra parte, per te, quali sono i vantaggi di essere supportati da un editore?
Ho apprezzato tanto di quello che è arrivato dal pubblico sconosciuto, uno degli aspetti piacevoli che ho notato è che una volta prodotto il libro non è più tuo e prende una strada tutta sua, talvolta meravigliosa e sorprendente. Avere un buon editore è però fondamentale per aprirti canali di diffusione commerciale ampi e strutturati, nel mio caso mi sono affidato una buona realtà se pur locale, ma non sono stato in alcun modo supportato nella diffusione quindi ho trovato molte difficoltà nella distribuzione su scala nazionale. Il sistema non mi piace molto nel suo aspetto massivo quando rivela il successo di un manoscritto correlandolo solo ed esclusivamente ai numeri dell’autore in termini di popolarità, senza proporzione rispetto alla verità artistica dell’opera. I difetti non sono solo legati alle logiche delle major, trovo stia anche a noi scrittori amatoriali comprendere che un conto è scrivere per esprimersi – e lo può fare chiunque – un conto è scrivere a un livello tale per cui sia possibile e ipotizzabile una diffusione su dimensioni professionali riconoscibili. Questo vale però per qualsiasi attività: tutti possiamo tirare un calcio al pallone, ma professionisti lo diventano uno su tremila.

Sarebbe falso sostenere che i libri vengano scritti solo per necessità autoriali e non si plasmino anche in rapporto ai lettori per cui sono concepiti. Ciò che intendo dire è che difficilmente mi è capitato di incontrare scrittori che durante la composizione non tengano conto di un lettore ipotetico o ben preciso. Rispetto all’atto compositivo, ti è mai capitato di fare un passo indietro al solo scopo di non perdere la fiducia che si costruisce con il lettore? Di omettere qualcosa che avresti voluto scrivere ma pensavi non sarebbe stato opportuno leggere? Oppure ti senti libero di muoverti tra la trama come meglio ritieni? In altre parole: quando scrivi segui un canovaccio precostituito o ti lasci guidare dall’intuito?
Domanda interessante, proprio perché non rispondo a logiche di massa nella produzione dei miei manoscritti mi sono sentito libero di vagare nell’espressione. Va detto che comunque durante la rilettura le correzioni sono spesso atte a far comprendere al maggior numero di persone la propria filosofia; quindi, in quella fase mi sono chiesto più di una volta se il testo fosse comprensibile ed efficace. Non sono dell’idea di modificare la trama per renderla accattivante, ma piuttosto adattarne lessico e grammatica. A mio parere la fiducia nel lettore la perdi quando risulti artefatto e costruito, quindi mi impegno sempre a scrivere rispettando la verità che intendo comunicare più che la costruzione perfetta del testo. È chiaro che riuscire nell’impresa di essere allo stato puro nella stesura ma perfettamente comprensibili ai più è mestiere per pochi, ma è ciò che fino ad oggi ho messo come priorità nel mio modo di scrivere.
Ti capita di avere rapporti diretti con lettori dei tuoi libri? Che cosa ti auguri che rimanga a chi ha letto le tue opere?
Si mi è capitato ed è fantastico, adoro ricevere i riscontri dei lettori e sono molto felice di leggere le emozioni che arrivano loro. La cosa divertente è la diversità assoluta nei pareri che mi sono arrivati, dalle lamentele per i pochi dialoghi in Ikigai ai complimenti per non aver rovinato con i dialoghi le introspezioni dei protagonisti. Mi piace proprio questo: generare emozioni e portare il lettore su livelli emotivi che nemmeno io pensavo di poter suscitare, penso sia il motivo vero per cui scrivo. Vorrei che chiunque decidesse di leggere un mio libro si emozionasse con sincerità, che sia di felicità o di dolore poco importa, vorrei che lo vivesse e lo sentisse arrivare forte allo stomaco, darebbe un senso a quanto di me ho versato nel crearlo.
Chiudo con un gioco che propongo spesso agli autori. Sapresti definire in due sole parole evocative e finanche rappresentative ognuno dei tuoi romanzi?
Per Ikigai non potrei che scegliere “passione” e “coinvolgimento”, per il secondo, Step Back, invece “arte” ed “essenza”.
