Quando cammini per le viedi una città solitamente ti imbatti in una toponomastica, per vari motivi, conosciuta ai più ma capita che l’intestazione, soprattutto, di piccole vie, vicoli e piazzette ci riserva delle sorprese: nomi che ci sono del tutto oscuri. Personalmente mi capita che la curiosità prende il sopravvento: un tempo tornavi a casa e in qualche modo ti informavi, ora con gli smarphone tutto diventa più semplice. Ora ho deciso di condividere questa mia curiosità con i lettori di Ottiche Parallele sperando di suscitare in loro un briciolo di curiosità.

A Pavia ci sono capitato sovente e avevo sempre percorso lo stesso tragitto che mi portava dalla Stazione alla centrale Strada Nuova oppure in piazza della Vittoria percorrendo via Cavour.
Un giorno mi capita di buttare distrattamente l’occhio in una via laterale che provenendo dalla piazza della Minerva si trova sulla sinistra e conduce a piazza Botta Adorno.
La cosa che mi salta all’occhio è il nome strano impresso sulla targa toponomastica, un nome insolito: VIA DEL MUTO DALL’ACCIA AL COLLO.
Il primo pensiero che mi si è balenato in testa fu: ma chi “cavolo” è questo muto? E che cos’è l’accia? Di cosa si tratta tanto da meritarsi il nome di una via?
L’accia è un termine non più utilizzato (come tante belle parole italiane) che sta ad indicare un filo greggio e ridotto in matasse, di lino, canapa, ecc.
Non mi restava che scoprire chi era questo “Muto dall’Accia al Collo”.
Mi sono messo a cercare e ho trovato che la via è dedicata a una statua del I secolo d.C., statua che raffigurava la figura di un uomo avvolto in una toga il cui lembo va a formare sul petto un panneggio simili a una matassa ovvero un’accia.
Ma perché “muto”?
Il volto della statua è corroso e la bocca abrasa e per questo l’appellativo di “muto”.

UN PO’ DI STORIA
La statua fu fatta porre da Teodorico nella cinta muraria della città sulla porta occidentale, “Porta Marica” (o Marenga). Quando nell’Ottocento la po rta fu demolita la statua venne murata all’angolo della via che oggi porta il suo nome.
Poi se ne persero le tracce fino a quando fu ritrovata nel Ticino ma il pessimo stato di conservazione non consentì mai di stabilirne con certezza l’identità e la sua origine: da quel momento la statua fu denominata “il Muto dall’Accia al Collo”.
Opicino de Canistris, storico pavese del Trecento, le attribuiva la personificazione della giustizia mentre per il popolo dietro a quella statua vi si celava il “frutto” di una leggenda: l’amore contrastato tra un pescatore e una fanciulla patrizia.

LA LEGGENDA C’era una volta un giovane pescatore che aveva ricevuto in dono dal padre, il fiume Ticino, una rete magica in grado di tramutare i pesci pescati in pietre. Soltanto una volta arrivato a riva, dopo aver svuotato la rete, le pietre si ritrasformavano in pesci. E così, notte dopo notte, il ragazzo usciva a pescare nelle acque del fiume pavese. Un giorno, però, il giovane incrociò lo sguardo di una fanciulla, figlia di un noto centurione romano. Inutile dire che i due si innamorarono perdutamente in un batter di ciglia. Ma, come accade in gran parte delle storie d’amore narrate, c’è sempre qualcuno a cui questo grande amore proprio non va giù… Come poteva accettare la superba e malvagia matrigna che la sua figliastra si fosse innamorata di un semplice pescatorello!?! Giammai! E così, una notte decise di seguire la ragazza per verificare se i suoi sospetti erano corretti e per porre definitivamente la parola fine a questa relazione tanto incresciosa. Indossò la toga del marito e si diresse verso il luogo in cui si erano dati appuntamento i due innamorati. Al momento opportuno saltò fuori dal suo nascondiglio per sorprendere sul fatto i due amanti; ma, poi, proprio proprio opportuno quel momento non fu. Almeno per lei! Infatti il giovane pescatore con un gesto fulmineo lanciò la sua rete magica sulla perfida donna che, trasformata istantaneamente in pietra, cadde a terra e, avvolgendosi la rete attorno al collo, rotolò nelle acque del fiume. I due giovani allora, illuminati da una romantica luna, presero la barca e fuggirono insieme sulle acque del Ticino, che da buon padre decise di aiutare l’amato figliolo e la sua bella. Il grande fiume, infatti, nascose ben bene la statua nella profondità delle sue acque e, tanto per andare sul sicuro, decise di corroderne le sembianze in modo tale che nessuno potesse più riconoscere in essa la donna che fu. (dal sito http://www.paviaedintorni.it/)
Storia o leggenda il nome della via è tanto particolare che meritava un approfondimento che ho condiviso con i lettori di Ottiche Parallele.
