La nostra redattrice Maria Marchese, poetessa e curatrice d’arte, ci traccia con estrema sapienza la figura dell’artista: “La mano elargisce, decisa, icastici lineamenti, poi, il pennello rapisce generose quantità di umori, sottratti ad un pentagramma tonale sapido di mistero…”
Nodo dei corpi
fugace piacere
che lega la nostra polvere
all’eternità.
Yolanda Bedregal

È un istante catartico, quello che vede Angelo Orazio Pregoni raccogliersi, e dentro sé e addentro l’intuizione subitanea e, altresì, nell’identità “animomorfa”, che egli stesso desidera legare e celebrare, indi, in uno spazio, ove la clessidra è franta: i sabbiosi microcosmi scivolano, allora, tra trame riflessive eteroglossa e indefinite, trovando, alfine, una ferma dimora erratica. L’eternità è quindi il “fuggevole” pantheon, ove l’artista, quale “sacerdos” (sacer facĕre), consacra un’attuale “missa”; ivi, suggella l’interiorità dell’individuo come valore inviolabile. Consuma questa pratica tanto velocemente quanto intensamente: alla stessa maniera che in un atto liturgico, ogni elemento assume un’importanza fondamentale.
Così, l’artista sceglie, dapprima, il suolo. Poi, individua i propri “strumenti scrittori”e, infine, le mescidanze. Pone, quindi, il proprio “sandalo”, sulla virginea terra…

Persuade la materia oleosa ad abbandonarsi tra le sue palme, dopo aver reso trame e orditi meno ingordi, praticandovi l’imprimitura. La mano elargisce, decisa, icastici lineamenti, poi, il pennello rapisce generose quantità di umori, sottratti ad un pentagramma tonale sapido di mistero, e li sposa ai frugali diastemi creati, ricamandovi “grazie e peccati”; il diacronismo di questi ultimi crea lo spessore esperienziale di una viva presenza. Diversamente, invece, accade, quando l’artista affronta la levità del pigmento acrilico: il pittore aromatizza, talvolta, l’acqua, con il caffè o il tè, infondendo alla mescida le verità del risveglio o della cura, e ingaggiando, invero, una danza gestuale completamente diversa, rispetto alla precedente. I colori assumono un temperamento inquieto, ‘sicché l’artista deve domarne l’indole, raccogliendone i passi, per dirigerli, come un direttore d’orchestra, e creare virtuosismi improvvisati’.

La tavolozza ammannita dall’autore è intrisa della sinestesia, che lo contraddistingue: le diadi,triadi, quadiradi… che nascono, provengono da una stratificazione, fatta di preziosi e inusuali equilibri e accordi; essi liberano altrettante policrome conoscenze.
All’occhio appaiono pienezze estetiche, che esprimono una re-ligo, ove l’autore rende depositari colore, dinamismi e tratto di polisemiche riflessioni, le cui radici sono infisse in una personalità, la sua, fuori degli ordinari schemi di pensiero.
In un lasso di tempo breve, Angelo Orazio Pregoni esprime quel nodo, che materializza l’assolo tra corpo e spirito, rendendo una dimensione fugace, già dalla scrittrice Yolanda Bedregal definita come inestinguibile, solenne.
Il piacere corrisponde, per Angelo Orazio Pregoni, ad una salvifica sofferenza: la trafittura e il conseguente sanguinamento sono operati da uno strale, infisso, laddove liquefarsi nel purpureo fiume diviene “ekistemi” e ritrovamento.
