Dal 6 marzo al 26 marzo esposizione a cura di Susanna Vallebona, un connubio di Arte e musica , quella di Olivier Messiaen, attraverso l’esperienza sonora e tattile. “Sono tutte opere accarezzatili , tentativo di entrare in contatto con le opere in modo da non nutrire soltanto l’esperienza estetica , ma anche altre zone dell’esperienza umana grazie al tatto”. Opening il 6 marzo alle 18:30.

Augenmusik” è il titolo della mostra personale di Manuela Bertoli che sarà inaugurata mercoledì 6 marzo (ore 18.30) a Milano da Amy d Arte Spazio (via Lovonio 6).
La mostra a cura di Susanna Vallebona sarà visitabile dal 6 marzo al 26 marzo.

Hub visionario in grado di trasformarsi a seconda dei progetti che crea o accoglie, la galleria di ricerca milanese apre al pubblico con una nuova configurazione visiva e concettuale, una selezione di opere dell’artista Manuela Bertoli legate ai temi dell’Incerto, dell’Ipotetico, del Caso e alla Musica Contemporanea fra gli anni 1950 e 1980, periodo in cui la Musica Concreta e il concetto di Indeterminazione sono state pratiche poetiche per movimenti importantissimi come Fluxus, ma soprattutto per musicisti come Olivier Messiaen, Iannis Xenakis, Edgar Varése, Gyorgy Ligeti e gli sperimentalisti americani.

Il nuovo progetto economArt, per un’economia dello spazio e del suono, include opere accomunate da una grande attenzione al dettaglio e alla storia artistica di Manuela Bertoli, coniugando l’arte e la musica, un percorso che va dall’heritage ad opere più contemporanee e che culminano con le nuove realizzazioni create appositamente per la galleria come la serie – Ciels Magnetiques, (2023_2024) – tutte inedite, accarezzabili, accompagnate da libri d’artista realizzati dal 2020 al 2024, ipotetici spartiti, rivestiti interamente di piume, una sinestesia, che rimanda alla attitudine di Messiaen di associare accordi musicali a potenti visioni di colore, Ensemble Pleiades (2012_2024), installazione sonora formata da 33 pezzi (tamburi) di 3 diverse dimensioni realizzate con membrane sintetiche in mylar ebony per una timbrica più bassa e un suono freddo e metallico. All’ingresso della galleria “Touche de son 2005”, impronta digitale (pelliccia sintetica su plexiglass), irripetibile cifra identitaria distintiva del tatto.

Completano l’esposizione, “Ionisation” 1-2, “Poème eléctronique”, “Atmosphère”, vetro su carta Fabriano del 2012, trascrizioni libere o tratte da composizioni realizzate in forma d’onda elettronica.
Augenmusik” anticipa il focus sull’artista che contempla tre esposizioni personali in tre anni e ricostruisce così uno speciale episodio all’interno della pratica artistica di Manuela Bertoli. Se consideriamo l’intero corpus di opere di Bertoli e l’intreccio di teoria, storia e pratica che lo anima, possiamo dare a questa domanda almeno una risposta: la passione.
Nella sua pratica, discipline molto diverse sono costantemente messe in dialogo: arte, musica, matematica, scienza sviluppando una ricerca fluida priva di barriere. Quest’artista visionaria, con un approccio sinestetico, ha elaborato con – Augenmusik, – un’esposizione, con le opere riverberanti la materia sonora, dove tutti i sensi sono coinvolti prediligendo il tatto e lo fa grazie ai materiali che usa; grazie al movimento, come elemento portante, sprigiona l’energia che possediamo internamente con una ricerca personalissima in grado di esprimere chi siamo in modo profondo e complesso.

Il carattere polisemico e proliferante del progetto trae ispirazione dalla realtà concreta, visiva, ma soprattutto acustica del mondo degli uccelli di cui Olivier Messiaen era studioso e profondo conoscitore.
Evento multifonico secondo l’idea di una “Augenmusik”, cioè di una musica per gli occhi, una musica tutta da osservare.
In questa mostra, l’artista esplora il significato dello sguardo e del movimento degli spettatori, coinvolgendoli fisicamente attraverso opere mobili, tutte da accarezzare e sentire creando un paesaggio ricco di forme e colori che generano tensione.
Il suo lavoro costruisce ponti.
Anna d’Ambrosio
Ho tentato, nel mio lavoro, di esprimere qualche frammento di immagini e sensazioni visive che l’esplorazione e l’ascolto di questi universi di suoni mi hanno apertoManuela Bertoli

Manuela Bertoli
AUGENMUSIK
A cura di Susanna Vallebona

Tutto parte da Un coup de dés di Mallarmè, sia per quanto riguarda le avanguardie artistiche del primo novecento, che tra le tante rivoluzioni (dadaismo, poesia visiva, fluxus e arte concettuale) porteranno nel 1952 alla prima rappresentazione di 4’33” di John Cage, sia per quanto riguarda la poetica sulla quale verte la ricerca artistica di Manuela Bertoli.
Figura fondamentale quella di Cage. Esegue collage sonori, per dare valore al silenzio e plasmare i rumori trasformandoli in musica. Introduce il caso nella creazione artistica attraverso l’adozione di un metodo per realizzare l’opera d’arte, assimilabile alla ricetta culinaria. Nei suoi spartiti non dispone note, ma azioni da svolgere per prendere le distanze emotive dal proprio lavoro e lasciare spazio all’imprevisto.
Per Cage e Fluxus il caso è apertura zen agli imprevisti del vivere. Si contrappone al caso scientifico, legato soprattutto alle scoperte di Heisenberg che hanno influenzando il pensiero del novecento, concorrendo a trasformare definitivamente l’opera d’arte da “oggetto” a “processo”.
Il principio di indeterminazione ha infatti influenzato molta della musica sperimentale elettromagnetica ed elettronica degli anni ‘50/’60.
I quattro autori a cui si riferiscono le opere in mostra, Olivier Messiaen, Iannis Xenakis, Gyorgy Ligeti e Edgar Varèse, (il cui lavoro musicale come quello di Xenakis, spesso è collegato alla spazialità dell’architettura), adottando la pratica del collage e dell’assemblaggio, superarono la distinzione tra suono e rumore e introdussero nelle proprie composizioni, elaborazioni di elementi sonori “altri”, come ad esempio il canto degli uccelli nell’opera di Olivier Messiaen.
Una modalità che ha segnato molta della ricerca artistica del Novecento, non solo in ambito musicale.
Testimone dello stesso momento storico Enrico Castellani enunciava “Il bisogno di assoluto che ci anima, nel proporci nuove tematiche, ci vieta i mezzi considerati propri al linguaggio pittorico” (1).
L’opera è il risultato di un processo che non progetta un prodotto ma una presenza, nella quale l’artista introduce la propria esperienza e la propria artisticità.
Un’indagine fonte di ispirazione anche per Manuela Bertoli dal punto di vista linguistico, semantico e strutturale, fra musica e arte visiva, che la induce a esplorare le diverse possibilità di ibridazione legate al desiderio di superare le divisioni tra gli strumenti di espressione.
Ogni materiale che si presta alla narrazione è degno di essere scelto.
Manuela Bertoli utilizza quelli che giudica più idonei a esaltare la similarità strutturale con il brano musicale scelto e che le consentono di rendere visibile la musica attraverso la luce.
Una luce dinamica e vibrante per le onde sonore degli spettrogramma Ionisation, Poème eléctronique, Atmosphère e Mylar ebony, aggressiva quando riflessa dalla superficie plastica dei tamburi di Ensemble Pleiades, morbida e leggera come l’impronta di Touche.
Una luce che è materia tattile, necessaria alla definizione di un’opera sinestetica e interattiva, come nei monocromi Ciels Magnetiques e ancora di più nei libri d’artista, veri e propri pentagrammi di luce, il cui spazio specifico, con la sua sequenza ritmica, accende il desiderio di toccare e la voglia di accarezzare si fa prepotente.
Opere che, come osserva Flaminio Gualdoni, Manuela Bertoli realizza con “meticolosità feroce”.
Secondo Italo Calvino un’opera del XXI secolo avrebbe dovuto possedere almeno cinque requisiti: la leggerezza, la molteplicità, la rapidità, la visibilità e l’esattezza. L’ultimo sicuramente appartiene alle composizioni di Manuela Bertoli, che sono frutto di un paziente assemblaggio reiterato e preciso volto alla creazione di una superficie uniforme, di una texture solo apparentemente omogenea. Ma come ormai ben sappiamo, anche nella programmazione più accurata, la casualità non si può eludere e la luce vibra e accende, con la superficie, l’emozione.

(1) Enrico Castellani, Continuità e nuovo, Azimuth n.2 - 1960