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Mentre Matteo Sarro sta iniziando la nuova produzione artistica per Full Immersion in terra belga, l’opera Purity rappresenta l’apice, insieme alle sculture della serie Metamorfosi, di un percorso che lo ha visto vincente nel contesto della sua prima esposizione personale a Roma. Il concetto di immersione totale è il vademecum di Sarro, inteso nella sua accezione letterale “va’, vieni con me”. Così l’artista beneventano sviluppa le proprie intuizioni, dove il confine tra il quotidiano e l’arte è polverizzato.
Brevemente.
Incontro un Matteo Sarro 23 enne: la sua “carta d’identità” è un’opera nella quale individuo una presenza artistica innovativa e strutturata. Prima ancora di scambiare qualche parola con lui, infatti, l’opera mi convince, qualunque spiegazione essa possa celare. Seguo il giovane Sarro negli ultimi anni, i suoi umori, lo sviluppo dei concetti sulle tele fino ad oggi, dove, incantata da Purity, decido di scriverne…

Facciamo un passo indietro
Qualche mese fa, vedo nelle sue stories di Matteo una carrellata di immagini continue di architetture blu, dove le persone, la vegetazione sembrano contaminati, addirittura far parte di quella “blutitudine”. Ne vengono coinvolta anch’io. Le immagini si susseguono come una sequela incantevole ed incantatoria, ammaliatrice.
- Matteo ma tutto quel blu? — chiedo io.
- Eeeh Mary, sono stato in Marocco, non puoi capire … — continua Matteo.
Invece sì, penso.
- Quello è blue majorelle — afferma e mi racconta brevemente la storia di questo colore.
Il blu, il blu majorelle ed il Marocco
Il blu, nelle più diverse tonalità, fregia le abitazioni e le attività commerciali della piccola città marocchina di Chefchaouen, conosciuta dai locali come Chaouen.

La blue fever — diversa dalla Saturday night fever del super Travolta — viene attribuita a tutta una serie di motivazioni: alcuni vi diranno che per gli ebrei — pare infatti che il blu sia giunto con una loro migrazione di massa avvenuta negli anni ‘30 — il blu è il colore del cielo e che rappresenta il legame con la divinità, altri invece che sia legato al colore delle acque scintillanti del Mediterraneo oppure della cascata di Ras el-Maa, dove gli abitanti della città si riforniscono di acqua potabile, bene essenziale perché consente loro di prosperare in un ambiente duro come quello delle montagne aride. Poi c’è chi asserisce che il blu contribuisca a mantenere fresche le mura durante i periodi più caldi e chi, invece, che il blu scoraggi le zanzare. Ovviamente, non manca la tesi secondo la quale il blu sia un calore calmante e “porteur de bonheur”. Di sicuro, il fatto che la città abbia questa peculiarità attira i turisti e, forse, piace. Il signor Majorelle, però, se ne innamorò a tal punto che decise di creare un blu specifico per la propria abitazione marocchina. Negli anni ’20, dopo un viaggio a Marrakech con la moglie, decise di lasciare la Francia e di stabilirsi lì; iniziò costruendo una casa di gusto moresco, con un muro perimetrale in terra rossa — tipici della tradizione del posto — , che cingeva l’acro di terra ricco di enormi palme da dattero, poi, qualche anni dopo, ampliò il complesso con un atelier cubista blu. Come ho anticipato, trattasi di un blu particolare e la storia ci dice anche che Majorelle riscoprì questo colore, già utilizzato nelle dimore povere delle tribù berbere dell’Atlante. Inoltre, l’artista, appassionato di botanica, raccolse durante i viaggi, attraverso scambi, acquistando, finanziando spedizioni, uno straordinario numero di piante tropicali, creando uno squisito giardino, lontano dal gusto europeo, dai contrasti decisi, violenti. Nel ’47 lo aprì al pubblico e continuò a prendersene cura fino alla sua morte, nel 62. L’ oasi di Majorelle viene in seguito acquistata da Yves Sant Laurent e coniuge, che ne aggiustano il gusto estetico — da cultori del bello coordinano le architetture artistiche e quelle vegetative in maniera tale che non ci sia una predominanza delle une sulle altre, sottolineando un sodalizio d’incanto e lasciandolo godere al pubblico.
Toniamo alla produzione sarriana: dalla terra al cielo, dal macrocosmo al microcosmo.

Sarro viene in contatto con la realtà che vi ho brevemente raccontato, qualche tempo fa, elaborandola a suo modo. Prendendo in considerazione le opere dell’artista beneventano, dagli esordi ad oggi, un occhio avvezzo si accorge immediatamente di una serie di cambiamenti lapalissiani; il passaggio, infatti, dal grande al piccolo è evidente, com’è esplicita un’elaborazione dei colori, che parte da una ricerca cromatica degli aspetti terrosi e prosegue ed approda ad un’indagine nel colore fantastico. Sono occulti altri aspetti, invece, legati alla parte “alchemica” delle opere; Sarro lavora con due elementi, fondamentalmente, la farina e la resina acrilica, rispettivamente memoria storica, tradizione e sperimentazione, i cui quantitativi cambiano, nel tempo, rovesciando l’impatto che quei valori hanno sulla sua personalità. Cos’è cambiato? Sarro inizia la sua esperienza a Benevento, in un contesto familiare a cui è fortemente legato; l’indole da “enfant de boheme”, però, lo spinge a conoscere nuove terre. Questa predisposizione va letta non tanto nel senso di allontanamento dalla terra d’origine, bensì sotto l’aspetto del desiderio di esplorare l’ignoto, lo sconosciuto. Sarro, infatti, parte e si stabilisce in terra Belga, viaggiando continuamente. Nella sua produzione, la predominanza beneventana, fatta di spazi ampi, poco definiti, dai colori terricoli, farinosi appunto, dove il macinato bianco è l’ingrediente che contribuisce in maniera cospicua alla resa dell’opera, ad un certo punto cede il passo ad una produzione esotica, di un esotismo concettuale e filosofico. Partendo dal presupposto che nella sua terra d’origine fu invitato a “non filosofeggiare” , Sarro allora lo fa altrove… Di fatto, la concretizzazione della sua ricerca si arricchisce, ma le dimensioni delle opere diminuiscono, così come i soggetti, le sue pietre, assumono profili circoscritti, ad indicare anche una maggior definizione sia della sua identità; mantiene, invero, la propria matrice eteroglossa, intesa nello sviluppo di un linguaggio estetico e speculativo atto ad allontanare dalla pura evidenza — oppure no? Questo è il quesito. —. Ma cosa si intende per blue majorelle? Esso è un blu vibrante ed intenso, con sfumature violacee. Il suo colore è accentuato dai raggi del sole, acquisendo una straordinaria luminosità cromatica.
Io, Matteo e Purity
Io e Sarro ci troviamo, come spesso accade, in videocall; questa volta l’oggetto è un’opera ancora orfana di nome, ma che ha già un’identità trina. In essa, la quantità di farina è minima, mentre quella di resina acrilica prevale, stabilendo una presenza siderea, dalla pelle la cui matericità è presente, ma rarefatta. La sua ombra è percettibile come una seconda pelle — mentre nelle opere precedenti si sentiva un distacco maggiore, deciso e decisivo, che evidenziava gli stati immanente e trascendente come lontani — , frutto, probabilmente, di una minor tensione, una pacificazione. Se vogliamo rifarci alle varie legende sul significato del numero 3 o delle nozioni di trinio, trinità, triadico potremmo parlarne per ore — il buon Renato Zero, invece, lo boccerebbe immediatamente “ Il triangolo non lo aveva considerato” — .

Sarro realizza una simbiosi triadica, dove c’è la predominanza di una delle 3 componenti — testa, corpo o anima? — e decide per quel blu — non dipinto di blu, ma proprio il majorelle — , sapientemente dosato e sfumato; vi infonde così il senso di profondità inatteso, quello che non sai definire ma hai la consapevolezza che esista. In quel crescendo o decrescendo tonale è custodito il segreto della fusione tra natura, uomo ed arte di Majorelle, affinata poi da Saint Laurant, che ha radici antiche.
- Adesso Mary devo solo decidere se aggiungere altri elementi per circostanziare — mi dice Matteo, dopo aver perfezionato lo spazio bianco attorno al soggetto.
Intanto mi mostra la tela così com’è, muovendola…
Pochi centimetri mostrano un gioco mutevole, umorale, in cui si presagiscono stratificazioni esperienziali tanto leggere quanto innegabili, di una sincerità disarmante.
- È perfetto così Matteo —
- Sì, è un atto puro.
Un atto unico, libero e liberatorio.
Purity .
Alla prossima by Maria Marchese.
