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Nonnoatipico ci regala una interessante riflessione che è nata nell’assaggiare un vino “proibito” nel corso di una delle sue “scorribande” nei territori del delta del Po. La vibrazione del proibito, che non si è mai spenta.

C’è un momento in cui un odore, un colore, una situazione improvvisa possono riportare indietro di decenni. Mi è accaduto nei territori del delta del Po, dove un bicchiere di Clinto, il vino “proibito” per eccellenza, si è presentato inatteso dopo vent’anni di oblio durante un viaggio in bicicletta percorrendo queste bellissime terre.
Il Clinto, nato dagli ibridi americani di Vitis labrusca, è un vino che la legge vieta di commercializzare da quasi un secolo. Colore violaceo intenso, profumo inconfondibile di fragola e sottobosco, gusto dolce con un finale leggermente aspro: caratteristiche che lo rendono immediatamente riconoscibile. Ma a renderlo speciale non è soltanto il profilo organolettico.
È il suo carattere clandestino, quell’alone di proibito che lo accompagna da sempre.
Ritrovarlo oggi, dopo vent’anni, mi ha riaperto di colpo quello spazio della memoria.

Nel bicchiere, lo stesso colore violaceo, denso, lo stesso profumo di fragola selvatica ma soprattutto la stessa emozione: la vibrazione del proibito, che non si è mai spenta.
È bastato un sorso per riaccendere ricordi di strade immerse nella nebbia, di feste di paese, di serate in cui il Clinto non era soltanto vino, ma appartenenza e segreto condiviso.
Chi ha frequentato queste terre lo sa bene: bere Clinto significava entrare in un patto tacito: non lo trovavi sugli scaffali, ma compariva nei cortili, nelle cucine, nelle osterie appartate.
Un bicchiere versato quasi di nascosto, un assaggio che aveva il sapore della trasgressione: non era un semplice vino: era un gesto di complicità… e quella sensazione di vivere qualcosa non nella possibilità di tutti restava impressa più del gusto stesso.
Oggi il Clinto rimane escluso dal mercato ufficiale, e proprio per questo sopravvive come simbolo di identità e memoria. È il vino che non si compra: si riceve; non si pubblicizza: si custodisce.
Non è soltanto una bevanda, ma un’esperienza che attraversa generazioni e continua a riaffiorare quando meno te lo aspetti.
Il tempo non è passato invano. Quel ricordo che sembrava dissolto tra le nebbie del Polesine è tornato a farsi presenza concreta, colando in un bicchiere di vino scuro e vibrante. Dopo vent’anni, il Clinto non è più soltanto memoria: è realtà che riaffiora, testimonianza viva di una tradizione che resiste silenziosa.
E forse è proprio questo il segreto del suo fascino: non l’essere proibito, ma l’essere sopravvissuto. Un sorso che attraversa le generazioni, capace di trasformare un frammento del passato in un’esperienza presente. Perché certi gusti non scompaiono: attendono, nascosti, il momento di tornare a raccontare chi siamo stati e chi siamo ancora.