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La riscoperta e il riutilizzo di antichi manieri hanno caratterizzato, negli ultimi decenni, la Valle d’Aosta, tanto da far valere alla piccola Regione il soprannome de la Valle dei Cento Castelli.

Che la parola castello derivi, così come la sua omologa francese château, l’inglese castle, la spagnola castillo e così via, dal latino castrum, lo sappiamo tutti. Meno automatica, invece, l’idea che per gli antichi romani il castrum fosse una cosa diversa dall’odierno concetto di castello. Di castelli, come li intendiamo oggi, nell’antica Roma, non ce n’erano. Neanche in Valle d’Aosta, la regione oggi nota come la Valle dei Cento Castelli, dove pure i Romani hanno lasciato tantissime tracce architettoniche, esisteva al tempo nulla del genere.
Bisognerà attendere, infatti, l’anno Mille per assistere al fenomeno vero e proprio dell’incastellamento, destinato a cambiare per sempre il volto, oltre che della Valle, dell’intero continente europeo.
Come mai? E, soprattutto, perché ci sono così tanti castelli in Valle d’Aosta?
Tra il X e il XV secolo la Valle, come il resto dell’Italia, era un mosaico di piccole signorie feudali — Challant, Quart, Sarriod, Vallaise, Avise, Nus, Fénis… ognuno con la propria famiglia, il proprio stemma, la propria consorteria di potere. Non esisteva più, come al tempo dei Romani, un’autorità centrale forte; pertanto, ogni signore si costruiva il suo castello come status symbol, come difesa e come segnale politico.
Nel Medioevo, inoltre, la Valle d’Aosta era un passaggio obbligato fra Francia, Svizzera e Italia, un vero e proprio imbuto tra le Alpi: chi controllava i valichi del Piccolo e del Gran San Bernardo controllava il passaggio delle merci, degli eserciti, dei pellegrini, riscuotendo di volta in volta le tasse.

Tutti volevano, in questa fase, mettere la propria torre sul proprio sasso, per dire a viandanti, vicini, nemici e alleati: “Qui comando io”. Una vera e propria gara a chi costruiva il castello più grande, più bello, più inespugnabile, più opulento e più emblematico del proprio dominio, che ha oggi lasciato a sorvegliare la Dora Baltea e gli altri corsi d’acqua della Valle decine e decine di meraviglie architettoniche. I Cento Castelli, appunto.
E poi? Come tutte le cose, anche l’epoca feudale conobbe un lento tramonto. Con il consolidamento del potere dei Savoia alle spese di quello dei signori della Valle, ben presto i loro castelli persero le proprie funzioni e caddero in disuso. I più strategici divennero sedi amministrative, residenze o forti di frontiera.
Poi, nel secolo scorso, il silenzio. Tutto è rimasto lì — pietra su pietra — perché in Valle nessuno demolisce un castello, lo si lascia dormire nel paesaggio.
Un letargo interrotto soltanto in tempi recenti, dalla riscoperta e dall’inizio di una seconda vita che ha fornito a molti dei castelli valdostani un nuovo significato. È così che le temibili fortezze dei nobili della Valle si sono trasformate in centri propulsori di arte e cultura, luoghi di scienza o anche, semplicemente, di svago e tempo libero. Alberghi di lusso, location per cerimonie, musei di qualcosa o anche solo di sé stessi.
Ecco alcuni casi, divenuti emblematici, di re-incastellamento alla valdostana.

Forte di Bard: da Napoleone a Botero, passando per il giovane Cavour
Venere / Venus, 2010 – olio su tela / oil on canvas, 136 x 100 cm – Property of the Fernando Botero Foundation

Costruito su uno sperone roccioso che domina l’ingresso alla Valle, il Forte di Bard è una sentinella di pietra che ha visto passare eserciti, pellegrini e statisti.Nel 1800 resistette eroicamente all’assedio di Napoleone Bonaparte, rallentando l’avanzata francese per ben due settimane — un piccolo grande gesto di resistenza che costò la distruzione del forte, poi ricostruito dai Savoia qualche decennio dopo. Un giovane Camillo Benso di Cavour, allora ufficiale del Genio militare, fu di stanza al Forte durante i lavori di ricostruzione: un frammento di storia d’Italia che si intreccia alla storia di queste mura. Oggi quel bastione militare è diventato uno dei più straordinari poli culturali delle Alpi, sede di mostre internazionali, del Museo delle Alpi e di un percorso permanente di divulgazione storica e scientifica. Dal 29 novembre 2025 al 6 aprile 2026, il Forte celebra Fernando Botero con la mostra “Tecnica monumentale”, realizzata in collaborazione con 24 Ore Cultura e Fondazione Botero, a cura di Cecilia Braschi: oltre cento opere tra disegni, pitture e sculture raccontano la ricerca dell’artista colombiano sul rapporto tra forma e materia. Evento finanziato dal Ministero del Turismo nell’ambito del Fondo Unico Nazionale per il Turismo 2025. Radio Monte Carlo è la radio ufficiale della mostra.

Castello di Saint-Pierre: da vedetta feudale a Museo delle Scienze Naturali

Pochi castelli riescono a rappresentare così bene la metamorfosi del patrimonio valdostano. Costruito nell’XI secolo e più volte rimaneggiato, il Castello di Saint-Pierre domina la valle centrale con una silhouette fiabesca che l’ha reso una delle immagini più amate della regione. Dopo anni di degrado, abbandono e restauri successivi, è stato completamente recuperato e, dal 2021, ospita il Museo Regionale di Scienze Naturali “Efisio Noussan”, già storico museo di Aosta. Le antiche sale, un tempo abitate da famiglie nobili, oggi raccontano la vita delle Alpi: la geologia, la fauna, i ghiacciai, la fragilità dell’ambiente montano. L’architettura militare si è fatta spazio educativo — un castello che non difende più un territorio, ma un patrimonio di conoscenza. A partire dal 2024, tra l’altro il Museo Efisio Noussan ha il singolare primato di ospitare il più antico reperto mummificato d’Italia: è una piccola marmotta, rinvenuta nel 2022 sulla parete est del ghiacciaio del Lyskamm e risalente al Neolitico (4.691- 4.501 a.C.). Conservata in una teca adatta a proteggerla per i prossimi 500 anni, la marmotta del Lyskamm è un reperto di notevole interesse per l’intera comunità scientifica e anche solo per i curiosi. Nb: il castello resterà chiuso tra il 26 novembre e il 4 dicembre.

Castello di Verrès: la fortezza delle arti performative

Arroccato su uno sperone di roccia che domina la Dora Baltea, il Castello di Verrès è una fortezza austera e compatta, costruita alla fine del Trecento per volere di Ibleto di Challant. Ma la sua fama non nasce solo dalle pietre: a renderlo immortale è la storia di Caterina di Challant, la nobildonna che nel Quattrocento ha danzato nella piazza del borgo con i popolani, sfidando le convenzioni e guadagnandosi l’amore (e il timore) del suo popolo. Ogni anno, durante il Carnevale Storico di Verrès, quel ballo torna a vivere: dame e cavalieri in costume risalgono al castello tra fiaccole e tamburi per celebrare la libertà e il coraggio di Caterina. Così, quelle stesse sale che un tempo ospitavano banchetti e intrighi feudali si animano di musica e performance contemporanee.

Castello di Tour de Villa a Gressan: da Tour des Pauvres a location per ricevimenti

Situato tra i vigneti appena fuori l’abitato di Gressan, il Castello di Tour de Villa è oggi un bed&breakfast nel quale è possibile, oltre che ospitare un ricevimento nuziale, anche dormire nelle camere che furono del signore del castello. Lo stemma della famiglia dei Tour de Villa raffigura un leone dorato con unghie e lingua rossa, rampante su uno scudo nero, accompagnato dal motto “Praecibus et Operibus” (con la preghiera e le opere). Con il declino della casata, il castello passò, dopo varie vicissitudini, nella cassa dei poveri della parrocchia di Saint Laurent ad Aosta, per cui prese il nome di Tour des Pauvres. Passato poi a proprietari privati da metà Ottocento a oggi, il Castello di Tour de Villa è oggi prestigiosa sede per eventi quali matrimoni, feste, cene, riunioni e business meeting.