Settimo appuntamento con lo spazio completamente dedicato agli autori emergenti. Una rubrica di approfondimento che offre spazio a scrittori e scrittrici e alle loro opere edite e inedite: libri, racconti, poesie. L’articolo di oggi è dedicato al libro dello scrittore di Codogno e di quello della scrittrice siciliana.

Copertina della rubrica: grafica a cura di Giulia Ercolini (link Instagram) 

IL LIBRO
“LA DURA LEGGE DEL BADGE
Lavorare è un lavoro da stronzi”
di DAVIDE LOCATELLI
“Ragazzone, la vita dentro un’azienda è molto simile alla savana. Anzi, a ben guardare, lo è: è la Savana Aziendale”
Riccardo “Giaguaro” Giavarini ha ventitré anni, una laurea in Ingegneria fresca di stampa e confuse, ma genuine, idee socialiste. Animato da un forte desiderio di rendersi utile ed aiutare la Classe Operaia, entra come stagista in uno stabilimento Gopp, rinomata multinazionale caratterizzata da slogan filantropici e reputazione anticlassista.
Ma la facciata di perfezione comincia ben presto a sgretolarsi, e Riccardo è costretto a scontrarsi con la dura realtà, ben lontana da quanto immaginato.
E tra operai pelandroni, impiegati assenteisti, sindacalisti corrotti, manager arrivisti in cerca di visibilità, fannulloni, sciacalli ed un Direttore spietato, la sua lenta e inesorabile discesa agli Inferi frantumerà la sua ingenua concezione del mondo del lavoro e metterà a dura prova il suo idealismo. Fino all’esausta, disillusa, amara abiura finale: “Lavorare è un lavoro da stronzi”.
Tratto da una storia vera, il romanzo vuole narrare con ironia e disincanto il mondo del lavoro e le specie umane che lo popolano: una satira sarcastica in cui tutti, a prescindere da settore o impiego, possono ritrovarsi, riderne e rifletterne.
Frequenti sono gli intermezzi narrativi a fare da ponte con il mondo dei documentari animali: perché quanto il protagonista si sente ripetere da Carniti, suo mentore aziendale e facente ruolo di Grillo Parlante, è perfettamente vero. “Nella Savana Aziendale, ragazzone, non v’è che un’unica regola per riuscire a sopravvivere: è la Dura Legge del Badge”.

CONOSCIAMO L’AUTORE
DAVIDE LOCATELLI
Davide Locatelli è nato nel 1989 nella tristemente nota Codogno (Lo), dove tuttora risiede. Sposato, un figlio di un anno che al termine di un lungo litigio con la moglie non è riuscito a chiamare BruceWayne, lavora come ingegnere di produzione in una multinazionale, ed in quanto tale trascorre lunghi e frequenti periodi all’estero. Appassionato di calcio, triathlon e viaggi zaino in spalla, divora libri di Brizzi e Sepulveda e spera, un giorno, di scrivere qualcosa di vagamente comparabile. La Dura Legge del Badge è il suo primo romanzo.

ESTRATTO
Introduzione
Per prima cosa, sono allergico alle giacche.
Per molti potrà non avere senso, però è così: ogni qualvolta mi capita di indossarne una, comincio a grattarmi come se avessi le pulci. Al matrimonio di mia sorella mi è toccato passare tutta la giornata in maniche di camicia, nonostante ci fossero dodici gradi.
Ed è solamente uno dei tanti motivi per cui non potevo percorrere la strada maestra, quella che i compagni del Politecnico di Milano già affollavano in massa. Quei compagni che sparivano dai banchi delle aule studio il venerdì, con ancora addosso le felpe Kappa scolorite, e si ripresentavano il lunedì successivo come guest star della lezione; giacca scura su camicia azzurrina, iniziali ricamate ad altezza costole, tutti pronti a pontificare di Customer Experience, Customer Centricity o Strategy Business, come se non si fossero occupati d’altro per tutta la vita. Per poi, il martedì, aggiornare il profilo LinkedIn: Head of Principal Senior Manager, o qualcosa di simile. Perché è evidente, se il titolo della professione non è in inglese, o peggio ancora di una lunghezza inferiore alle tre righe, allora non è certo un mestiere che abbia una ragione di esistere. 
Comunque, seguire le orme altrui non sarebbe stato poi nemmeno tanto complicato: bastava far domanda in una qualsiasi di quelle diavolo di mega aziende dai nomi interminabili, pieni di anglicismi e di &, e accettare di indossare una maledettissima giacca.
Un ufficio in centro a Milano, da raggiungere in metro; una cosmesi di efficacia, di controllo della situazione. L’impressione di essere arrivato da qualche parte.
Tutto sommato, ho modi sciolti e una discreta parlantina: avrei potuto ben figurare, confondermi tra loro. Quantomeno, mi sarei risparmiato un bel po’ di mal di schiena; e poi chissà, magari un giorno sarebbe arrivato perfino a piacermi.
Eppure no, non c’è stato verso. Io, il consulente strategico, l’Head of Business Delivery Partner Consultant Manager, qualsiasi diavolo di cosa significhi, non lo potevo proprio fare.
E mica è solo una questione di giacche: per esempio, c’è quella faccenda della mia metà socialista, ereditata da una madre insegnante statale di latino, innamorata di Seneca e Che Guevara.
E qui entriamo già nel campo della sfiga.
Proprio a me doveva capitare una metà socialista? Quante probabilità c’erano?
Statistiche alla mano, nell’Anno Domini duemiladiciassette, il socialismo non rappresentava esattamente un trend in ascesa: eppure lei, la mia metà socialista, delle statistiche sembrava felicemente catafottersene, e si ostinava a urlarmi nell’orecchio con quella sua vocina stridula, impartendo ordini manco godesse di una maggioranza bulgara. Urlava concetti antiquati, oltretutto, del tipo che se uno fino al venerdì sta in un’aula studio e non ha mai lavorato, il lunedì mica può consigliare qualcun altro su come farlo meglio di quanto non facesse prima.
A dar manforte alla discussione, a quel punto, subentrava Seneca; ché consulente deriva da consulere, e ai suoi tempi lo si usava per chiedere pareri agli oracoli e agli dei. 
E, voglio dire, mica è la stessa cosa. 
Poi le conclusioni le tirava Ernesto; lui, perfino quando era ministro, la domenica la occupava offrendo trabajo voluntario negli zuccherifici, non si faceva pagare per montare dei PowerPoint.
Insomma, con tutto questo trambusto in testa credo ancora che le mie colpe siano state limitate: era inevitabile che alla fine il sottoscritto, tutti quei vuoti inglesismi ad cazzum, quelle avvolgenti supercazzole in risposta a ogni domanda, tutte quelle moine dell’arrotolarsi con fare disinvolto le maniche della camicia, quei PowerPoint, tutti quei consulenti insomma, li avesse in antipatia non trattabile. 
Di conseguenza, si torna al punto iniziale: io, il consulente, non lo potevo fare.
Sembra facile, adesso, ridere di me o darmi del matto, ma sfido chiunque a non uscirne pazzo: ventiquattro ore al giorno con quelle voci a martellare il cranio non sono uno scherzo.
E mentre Seneca e gli altri andavano e venivano, perché di cose da fare e persone da infastidire ne avranno avute anche altre, lo stesso non si può dire di quella stramaledetta vocina socialista: lei non se ne andava. Lei, evidentemente, era mia personale.
Ripensandoci oggi con l’ingeneroso senno del poi, forse, nonostante tutto avrei potuto cavarmela lo stesso più che discretamente: in fondo, se ammiri il Che, apprezzi Seneca e frequenti amici da non presentare a un Rotary Club, hai comunque tutto un universo che ti appartiene. Per esempio, mi sarei potuto ritrovare a fare attivismo in Venezuela.
Ma ho parlato di una metà socialista: metà, non di più.
E qui giace il problema, perché l’altro cinquanta per cento del mio fragile involucro terreno è abitato dall’entità più improbabile che si possa pensare accanto a un umanista socialista.
Un ingegnere.

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IL LIBRO
NAP – NON AVERE PAURA
di
ANNALISA BAELI
Jamie Price ha 27 anni e insegna all’asilo dell’orfanotrofio. La madre l’ha abbandonata molto piccola lasciandola insieme al padre, Terence, un uomo più propenso ai vizi che alle virtù.
Jamie ha sopperito il vuoto affettivo con mille altre fisse, dedicandosi alle sue collezioni di “cianfrusaglie”,a una vita monotona e priva di sorprese.
La peculiarità che più la caratterizza è sicuramente l’aver paura di quasi tutto: sconosciuti, delfini, friggitrici, moto…
Logan Walsh ha 32 anni ed è un ex Marines appena rientrato a Boston.All’età di 8 anni è stato adottato da Jeff e Nora, già genitori biologici di Clara. Dedito più alle donne e alle armi, Logan porta con sè il non saper esprimere le proprie emozioni.
La partenza di David, coinquilino di Jamie, cugino di Logan e cupido per volontà, porta Jamie e Logan alla convivenza.
Jamie scopre un lato profondo di Logan e lui, il suo caratterino tutto pepe.
Nel racconto si intrecciano più argomenti: la famiglia biologica di Logan, i suoi traumi della guerra e lo scontro con l’amico e commilitone Alexander Ford, il cambiamento che spesso si fa per amore, i rapporti non sempre facili con genitori difficili, il riscatto da una vita di sacrifici e rinunce, il tutto condito da una sottile ironia, qualche follia e coincidenza divina.
NAP, acronimo di Non avere paura, diverrà il leitmotiv della loro storia d’amore, familiare e affettiva, un motto che spinge al coraggio delle proprie scelte.

CONOSCIAMO L’AUTRICE
ANNALISA BAELI

Annalisa Maria Baeli nasce a Barcellona Pozzo di Gotto il 5 aprile 1984.
Seconda di tre figli, cresce nel piccolo paese di Novara di Sicilia, provincia di Messina, insieme ai genitori e i nonni che avranno un ruolo più che fondamentale nella sua vita.
Dopo 4 anni al liceo Scientifico dove emerge la sua passione per la letteratura russa, si diploma nel 2004 presso l’istituto tecnico turistico.
Lascia gli studi in cerca di indipendenza, lavora come cameriera e commessa, il più delle volte, sempre con un libro in borsa.
Qualche anno dopo, già venticinquenne, si iscrive al corso di Lettere Moderne dell’Università degli studi di Messina.
Nel 2014 lascia l’Italia per trasferirsi in Svizzera, dove vive insieme al marito Giuseppe, la figlia di 5 anni Lara e il loro cane Gordon, facendo la mamma a tempo pieno.
Grande appassionata di film, musica rock e metal, buon cibo e buon vino, ama l’Italia e entro la fine dell’anno, spera di poter tornare a viverci insieme alla famiglia.

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